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Donne e agritech: rivoluzionare l’agricoltura è anche una questione di genere

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L’agritech sta trasformando il modo in cui coltiviamo le nostre terre. Ormai, le tecnologie 4.0 al servizio dell’agricoltura valgono più di 2 mld di euro, solo in Italia. Ma quella rivoluzione nelle tecnologie può essere anche una questione di genere. Concettualmente nell’agritech, infatti, si uniscono due gap in termini di disparità tra uomo e donna: quello in agricoltura e quello nel tech. Ma dalla formazione alle startup, per arrivare al mondo delle imprese, potrebbero esserci delle opportunità per colmarli: questo è emerso durante l’e-talk dedicato alle donne dell’Agritech parte del ciclo di incontri Mpw di Fortune Italia.

All’incontro, moderato dal redattore di Fortune, Alessandro Pulcini,  si è parlato di imprese, di gender gap, di agricoltura e delle sfide epocali che stiamo affrontando. Il dibattito, stimolato dal giornalista, ha acceso un faro anche su tecnologia e come i nuovi modelli produttivi possono aiutare ad affrontare le sfide del futuro.

Nell’ultimo anno le difficoltà per il settore agricolo sono cresciute, tra crisi climatica e trend inflattivi del 2022, che hanno colpito tanto i beni alimentari quanto il necessario per produrli, come carburanti e fertilizzanti. Quale sarà il ruolo delle donne nella difesa del settore da questa doppia crisi? La risposta dovrà tenere in considerazione il fattore tecnologico e l’innovazione. Nella trasformazione dell’agricoltura le donne ci sono, ricordano le partecipanti dell’e-talk, e possono contare su un’armatura fatta di determinazione e competenze. Ma si tratta di un’armatura “pesante da portare”.

 

Il contesto: i numeri dell’agritech

Dai sistemi di monitoraggio da remoto ai macchinari connessi, dai sistemi di supporto alle decisioni e alle piattaforme per la gestione dei dati, “il mercato dell’agricoltura 4.0 continua a crescere a doppia cifra, abbiamo sfondato il tetto dei due miliardi”, dice Chiara Corbo, direttrice dell’Osservatorio Smart AgriFood della School of Management del Politecnico di Milano che solo pochi giorni fa ha presentato i dati relativi al 2022 dell’agritech italiano, insieme al Laboratorio RISE (Research & Innovation for Smart Enterprises) dell’Università degli Studi di Brescia.

Quanto viene usata la tecnologia dagli agricoltori italiani? Il dato sull’adozione è positivo, anche se una percentuale in particolare dimostra come l’agritech possa ancora crescere molto: le tecnologie 4.0 si usano solo sull’8% delle superfici coltivate in Italia. “Si possono fare ancora molti passi in avanti, anche se il dato è molto positivo. Quando sentiamo parlare di agricoltura come un settore arretrato, noi non siamo molto d’accordo”, dice Corbo. In tanti, infatti, utilizzano più soluzioni tecnologiche: in media, vengono adottate 3 soluzioni per azienda, dato in forte crescita rispetto al 2021 (+21%). E in tanti stanno cercando di capire come muoversi: tra le aziende di trasformazione agroalimentare, l’82% ha utilizzato o sperimentato almeno una soluzione digitale.

Agricoltura, tecnologia e gender gap: il primo passo è la formazione

Nel percorso che si può immaginare per arrivare a colmare (o a tentare di colmare) il gender gap di un settore come l’agritech, la prima tappa è sicuramente quella della formazione accademica. E in questo caso ci sono elementi positivi da sottolineare. “La formazione è il primo passo verso una adeguata parità di genere, e non siamo in una situazione così drammatica come in alcuni settori delle scienze ‘dure’”, dice Francesco Pennacchio, professore di entomologia e vice-Direttore del Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II di Napoli.

“Partendo dalla formazione a livello universitario nel settore agroalimentare, se si guardano i dati della Federico II di Napoli – che sono significativi essendo un campione con una dimensione ragguardevole – per quanto riguarda il campo delle tecnologie alimentari o delle biotecnologie agroalimentari abbiamo già una parità di studenti maschi e femmine, 50 e 50”, dice Pennacchio. “Se ci spostiamo sui corsi di laurea in scienze agrarie e scienze forestali il rapporto è di 1 a 3, che non è un dato scoraggiante: nel tempo è andato sempre crescendo e credo abbiamo ancora margini di crescita. La componente femminile è aumentata”.

Ma Pennacchio è anche coordinatore Scientifico dello Spoke 2 di Agritech, il Centro Nazionale per lo sviluppo delle Nuove Tecnologie in Agricoltura, un progetto che vale circa 350 milioni di euro di cui 320 a carico del Pnrr, e che conta 28 Università, 5 centri di ricerca, 18 imprese, coordinati dall’hub di Napoli.

Parte delle iniziative del centro, l’Agritech academy ha appena chiuso i termini per le iscrizioni: un’occasione per verificare come l’unione tra agricoltura e tecnologia possa addirittura favorire la presenza femminile.

Nella definizione dei bandi dell’iniziativa c’era un numero minimo previsto per le partecipanti donne, racconta il professore, quota che è stata superata: nel centro Agritech “siamo praticamente a un rapporto 1 a 1 per quanto riguarda ricercatori, assegnisti di ricerca e dottorandi. Il centro occupa tanti aspetti tematici, tra cui quello dei dati, un aspetto cruciale dell’agricoltura 4.0. Lo scopo è di integrare competenze scientifiche, imprese e ricerca pubblica per una transizione verde del mondo produttivo che possa consentire il passaggio a un’agricoltura che abbia al centro la sostenibilità economica e sociale”.

Il mondo delle imprese

Se è possibile una visione positiva sulla formazione, i dati sulle imprese non sono particolarmente buoni. In Italia sono più di 200.000 le imprese agricole condotte da donne, per quanto anche in questo settore la parità di genere sia lontana. Ma secondo dati citati da Confagricoltura, le imprese agricole femminili hanno sopportato meglio gli effetti derivanti dalla pandemia e il 28% ha aumentato il proprio fatturato. Nelle imprese agricole non femminili, quel dato si ferma al 20%.

Tra i partecipanti all’e-talk, c’è chi ha il polso della situazione, perché parla con tanti attori della filiera: Luisa Maurizi, Senior Manager Leaf di Philip Morris Italia. Proprio ieri 20 marzo, per l’azienda è arrivato l’annuncio dell’accordo con il ministero dell’Agricoltura e di un investimento da 500 mln di euro in cinque anni per la filiera agricola del tabacco in Italia, ovvero 21.000 tonnellate all’anno di tabacco greggio.

In agricoltura, oltre a quella tecnologica, serve anche un’evoluzione culturale, dice Maurizi. Bisogna parlare di una “trasformazione a lungo raggio che garantisca un percorso di crescita. Se penso alla nostra filiera agricola dodici anni fa, oggi vedo molta più presenza femminile. In Pmi nel team Leaf siamo al 60% donne. E abbiamo donne in ruoli tecnici e dirigenziali. Sicuramente nel comparto del tabacco sono più i titolari uomini, ma quando si va in campagna molto spesso ci interfacciamo anche con le compagne o titolari che si occupano di processi chiave come l’essicazione del tabacco. Non è raro che quando si parla il titolare venga accompagnato dalla moglie, e che sia lei a dare l’assenso finale: una nota di colore per dire che il processo di trasformazione è anche culturale e di genere. C’è ancora molto da fare, ma episodi come questo si notano, perché la presenza femminile in agricoltura è in crescita”.

Il ruolo chiave di chi innova il settore: le startup

Le nuove tecnologie agricole aiutano a ridurre gli sprechi, aumentano la produttività e migliorano la sostenibilità ambientale. Ma come affrontano il tema le startup che stanno innovando il settore con le loro tecnologie? “Non è sempre semplice farsi prendere sul serio se sei una donna, giovane e che parla di sostenibilità: il mix delle tre cose è letale. È faticoso evitare di essere liquidata come la ‘bambina che abbraccia gli alberi’, e per evitarlo devo stra-prepararmi; non c’è molto margine di errore”, dice Mita De Benedetti, Head of impact di Planet Farm.

“Non nego che la decisione di spostarmi dall’ambiente corporate a quello startup è stato anche legato alla necessità di trovare una parità di genere maggiore”, dice invece Amelia Bassini, COO & Co-Founder di Genuine Way, portando come esempio la sua carriera.

“Devo dire che per una maggiore flessibilità e in generale una magiore giovinezza del settore, la parità di genere è più facile da raggiungere”, nel mondo delle startup, dice Bassini. “Quando si crea una startup si ha di fronte un mondo nuovo da costruire, un foglio bianco; non si modifica una cultura aziendale, si inventa tutto da capo. Con il mio socio e Ceo abbiamo deciso di dare ai nostri ruoli la stessa valenza dal punto di vista retributivo”.

Questo non vuol dire che l’ecosistema dell’agritech e dell’innovazione sia immune dal gender gap: “Invito a partecipare a un po’ di eventi del settore; effettivamente la presenza femminile è piuttosto scarsa. Se dovessi dire delle ragioni specifiche, non ne vedo, ma ci sono sicuramente delle radici culturali riguardo le competenze tech: in molte realtà i ruoli apicali sono occupati solo da uomini”, sottolinea Corbo.

Ma il tema che non riguarda solo le loro risorse interne: mai come oggi, le startup si confrontano con tanti attori diversi, anche se si considera la dimensione d’impresa dei loro interlocutori. Un ruolo di ‘ambasciatrici’ che le porta in contatto con tanti approcci diversi: tra grandi e piccole aziende c’è una differenza nell’approccio al tema della diversità e a quello dell’innovazione?

Secondo Bassini, “più che differenza tra aziende grandi e piccole, sono le persone attente al futuro e formate correttamente che fanno la differenza sia a livello di innovazione che di impatto sociale”.

Secondo i dati dell’Osservatorio Agrifood, l’88% delle aziende sta innovando nell’area della tracciabilità, utilizzando o sperimentando soluzioni tecnologiche, come software gestionali integrati (56%), soluzioni mobile (26%) e cloud (21%) per ridurre i tempi richiesti per la rintracciabilità dei prodotti in caso di criticità e snellire i processi di inserimento dei dati, riducendo il margine di errore. Tra le startup che si occupano di tracciabilità c’è proprio Genuine Way: lo fa tramite blockchain. “Sappiamo che le normative europee seguono la direzione di diventare cogenti, tutte le aziende grandi e piccole nei prossimi anni saranno obbligate ad essere trasparenti nelle proprie filiere. Chi si sta già muovendo avrà un grosso vantaggio competitivo”, dice Bassini.

Tra le innovazioni più interessanti dell’agritech c’è il vertical farming, il metodo che permette di bypassare l’uso dei pesticidi e risparmiare suolo ed acqua (addirittura quella usata per il lavaggio, che con i prodotti da vertical farming non è necessario). Forse una rivoluzione più a lungo periodo rispetto ad altre, anche perché prima di un’implementazione di scala bisogna risolvere il problema della sostenibilità energetica degli impianti indoor.

Secondo De Benedetti di Planet Farms, “nonostante noi usiamo luci led ad alta efficienza c’è un consumo energetico importante. Abbiamo intrapreso un percorso di calcolo della nostra impronta carbonica che ci porterà a stabilire degli obiettivi in linea con quelli di riduzione delle emissioni al 2030 e 2050. Stiamo definendo dei piani di azione in queste settimane”.

Parità di genere: cosa fare a breve e lungo termine

Ma quella ambientale non è l’unica sostenibilità di cui si sta occupando la head of impact di Planet Farms. “Nonostante in società nessuno pensi di essere in un’azienda ostile alle donne (la Ceo in Italia è una donna, ndr) è difficile vedere le disparità quando si è troppo dentro”.

L’analisi sulla diversità interna è ancora in corso, dice De Benedetti, e si stanno cercando i numeri che riflettano nel miglior modo possibile la situazione. “Il team è composta da quasi il 40% di donne, ma non è ancora il 50% (da notare che questo divario è molto più contenuto sotto i 40 anni). Secondo me ci deve essere almeno una soglia del 30% in ogni team di uomini o donne e la chiusura completa del gender pay gap”. La cosa significativa è che già dopo un primo confronto con i suoi capi dipartimento, racconta, le successive assunzioni in quei dipartimenti sono state di donne.

Un primo step, insomma, è già quello di aprire la conversazione. Ma non basta. “È impossibile togliere completamente il pregiudizio dalle persone, ma è possibile toglierlo dai processi”, dice De Bendetti.

Secondo Maurizi servono iniziative per lo sviluppo delle competenze femminili ma anche il networking, per valorizzare la discussione tra imprese e startup. I benefit e il parental living equo per uomini e donne sono iniziative che servono a rendere l’ambiente lavorativo più giusto, ma per Maurizi serve anche il monitoraggio dei progressi fatti, magari attraverso enti di certificazione terzi. “Le competenze vanno sviluppate per tutti, così come un sistema di welfare equo: così si raggiunge la parità”. La formazione è un tema che ritorna: Philip Morris, ad esempio, lancerà presto un hackathon “rivolto a studentesse del mezzogiorno per trovare soluzioni per la qualità del lavoro e work-life balance”, dice Maurizi.

Pennacchio sottolinea come, per non trascurare il merito, per colmare il gender gap serva un processo di lunga durata: “Da un punto di vista generale va seguito l’approccio del merito insieme a quello per una formazione ‘solida’, rimuovendo le barriere preconcette alla fonte: altrimenti non abbiamo un numero sufficiente di persone ben formate, e che possano formarsi anche a contatto con le realtà imprenditoriali”.

Il supporto alla genitorialità è uno dei temi che più tornano tra i partecipanti alla discussione: “Finché non ci sarà un cambiamento culturale non ci potranno essere molti passi in avanti”, dice Corbo. Quello che è certo e che sta emergendo in questi anni di ‘nascita’ dell’agritech, è che non ci sono mestieri esclusivi per gli uomini, così come non è solo responsabilità della donna la cura della casa, affermano le speaker dell’e-talk. La speranza è che i passi in avanti vengano compiuti presto, conclude Corbo, perché quell’ armatura delle donne dell’agricoltura e del tech, fatta di preparazione e competenze, è “un’armatura pesante da portare”. Rivoluzionare l’agricoltura attraverso l’innovazione tecnologica, insomma, è anche una questione di genere.

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