Cerca
Close this search box.

ChatGPT: se il valore non saranno le sue risposte ma le nostre domande sul lavoro

Negli ultimi mesi ha suscitato un grande clamore e diffuso interesse il lancio di ChatGPT: un chatbot di ampia portata e altamente sofisticato che dà risposte che possono essere percepite come date da un essere umano.

Questa tecnologia ha attirato l’attenzione per le sue risposte dettagliate e articolate e per diverse funzionalità significativamente più avanzate rispetto a modelli precedenti: risposte più lunghe, in quanto significativamente più verboso; risposte più pertinenti: più efficace nel comprendere le intenzioni dell’utente; risposte più sicure: ottimizzato per ridurre la creazione di contenuti inventati.

ChatGPT è stato lanciato il 3 novembre 2022 e dopo poche settimane ha superato i 10 milioni di utenti. Il CEO di Microsoft Satya Nadella lo ha definito una delle tecnologie più significative di questa generazione.

Uno dei temi che è riemerso è quanto queste tecnologie sostituiranno il lavoro oggi realizzato da persone e le implicazioni sociali di questa perdita di lavoro.

Già negli scorsi anni colonne di importanti riviste economiche e aziendali (Bartleby, 2018; Pistrui, 2018), segnalazioni di prestigiose università (Stone et al., 2016), nonché le principali organizzazioni globali (Ryder, 2018; Mondo Forum economico, 2018) hanno espresso riflessioni e preoccupazioni sul futuro del lavoro umano nell’era delle macchine.

La questione più frequentemente posta è se gli esseri umani saranno sostituiti dalle macchine nel loro lavoro quotidiano e se ci sarà spazio affinché gli esseri umani continuino a lavorare e sviluppare attività specifiche in servizio delle comunità e delle società.

Se vogliamo guardare alla storia passata, le rivoluzioni tecnologiche del mercato del lavoro hanno portato a delle trasformazioni e transizioni, con la perdita di posti di lavoro in un settore, ma nel medio termine le creazioni di nuovi in altri. Ad esempio, la meccanizzazione agricola ha chiuso milioni di posti di lavoro, ma un settore manifatturiero in crescita è emerso per assorbire un numero pari e superiore.

Ora ci troviamo di fronte ad una tecnologia che non sostituisce più forza fisica ma impegno mentale (calcolo, raccolta dati, elaborazione di una spiegazione, comunicare una notizia, ecc.) e ci possiamo domandare quale altro settore del lavoro umano possa assorbire queste competenze.

Senza voler sottovalutare l’impatto sociale, anche solo nella dovuta transizione che potremo avere, vogliamo a complemento e ad integrazione di queste domande e preoccupazioni porre però l’attenzione su tutt’altro tipo di domande che questa accelerazione tecnologica può sostenere. Domande potenti perché profonde e temiamo trascurate negli ultimi decenni. Potremmo arrivare a dire trascurate in tutti questi anni di sviluppo a partire dalle rivoluzioni industriali.

  • Quale il carattere del lavoro che stiamo vivendo e che temiamo di perdere?
  • Possiamo accontentarci di mantenerlo, senza trasformarlo?
  • Cosa significa trasformazione per l’uomo contemporaneo in questo scenario di transizioni tecnologiche?

In una ricerca pubblicata su HBR nel novembre 2019 su oltre 540 dipendenti in tutto il mondo, solo il 28% degli intervistati ha riferito di sentirsi pienamente connesso allo scopo della propria azienda. Il 39% ha affermato di poter vedere chiaramente il valore che crea. Il 22% concorda sul fatto che il proprio lavoro consente di sfruttare appieno i propri punti di forza, e solo il 34% ritiene di contribuire fortemente al successo della propria azienda. Più della metà non è nemmeno “in qualche modo” motivata, appassionata o entusiasta del proprio lavoro.

Nel report Gallup “State of the Global Workplace 2022” solo il 21% dei dipendenti percepisce di vivere engagement nel proprio lavoro ed il 33% manifesta una percezione di valorizzazione e di generale benessere.

chatgpt ai intelligenza artificiale chatgpt plus
PRODUCTION – 25 January 2023, Hesse, Darmstadt: The text software ChatGPT. Photo: Frank Rumpenhorst/dpa/Archiv

E ancora, su fattori ancora più basilari come la salute, la pubblicazione di Jeffrey Pfeffer “Dying for a paycheck” aveva già portato dati impressionanti: Starbucks paga più per i benefit per la salute dei dipendenti che per il caffè. GM, Ford e Chrysler hanno speso di più per le spese sanitarie dei dipendenti che per l’acciaio che usano per fabbricare automobili.

Per la Mayo Clinic il capo è più importante per la tua salute del tuo medico di famiglia.

Negli Stati Uniti Il 74% delle malattie è cronico. La principale causa di malattie croniche è lo stress. E la principale causa di stress è il lavoro.

Questi dati ci dicono che non possiamo solo preoccuparci di mantenere il lavoro così come lo abbiamo, così come lo abbiamo realizzato e così come lo stiamo vivendo. Si tratta in molti casi di un lavoro non vitale, un lavoro che può produrre beni materiali, ma a costo proprio della vita. Anche quando non parliamo della salute fisica, quello che perdiamo sono i caratteri vitali: significato in quello che facciamo, qualità delle relazioni, senso di appartenenza e di comunità.

La rivoluzione industriale, con la sua ambizione di produzione in larga scala, ha portato ad una spinta progressiva alla standardizzazione, alla separazione dei compiti e con essa fra le persone, alla funzionalizzazione estrema dell’ambiente di lavoro.

Le persone gradualmente hanno iniziato sempre di più a tendere a ad un mero “funzionamento”. Gran parte del lavoro non ha il carattere della vita ma della funzionalità.

I rapporti sono basati sullo scambio, il tempo è sempre finalizzato e il nostro indice di misura assoluto è la produttività: conta quanto fai e non la generazione di fare qualcosa di nuovo e significativo.

La nostra provocazione è la possibilità di far riemergere un paradigma differente: un paradigma della benevolenza, della cura e della generatività.

La presenza distintiva della persona nel lavoro va oltre quindi il raccogliere dati: serve comprenderne il senso e restituire significato. Attraverso la nostra capacità di attribuire significato, segni, sosteniamo la cultura, i valori all’interno delle organizzazioni. E come ci ricordava P. F. Drucker, “Culture eats strategy at breakfast”.

Possiamo allora parlare di due lavori, che possono coesistere: il lavoro meccanico ed il lavoro umano. La crescita dello spazio dell’AI nel lavoro meccanico ci pone una domanda importante: quanto spazio diamo noi parallelamente al lavoro umano, se continuiamo a dibattere e misurare solo con i paradigmi del lavoro meccanico?

Il rinnovare il paradigma di un lavoro umano, nelle dimensioni sopra citate, non sostituisce e non esclude il paradigma meccanico, ma lo integra e completa come il concavo sta al convesso.

Meccanicità e umanità, fattualità e cura. Potremmo parlare di una emergente Realize-Ability che accompagna la Make-Ability. 

La diffusione e crescita delle tecnologie di “generative AI” allora non portano solo una maggiore produttività e performance, ma una rinnovata domanda ed emergente impegno nel ridare attenzione e spazio ad un Lavoro Umano. Un rinnovato spazio ai suoi paradigmi, alla caratterizzazione vitale che dà al lavoro e alle organizzazioni, una nuova normativa sul lavoro e nuovi criteri meritocratici per riconoscerne il valore specifico. 

ABBIAMO UN'OFFERTA PER TE

€2 per 1 mese di Fortune

Oltre 100 articoli in anteprima di business ed economia ogni mese

Approfittane ora per ottenere in esclusiva:

Fortune è un marchio Fortune Media IP Limited usato sotto licenza.