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Calcio italiano, stadi vecchi e pochi nuovi talenti: o si innova o si muore

Stadi obsoleti, limitati investimenti sui settori giovanili, una Nazionale con pochi talenti che non si qualifica ai Mondiali per due edizioni di fila. E il prodotto Serie A povero di campioni che perde appeal e resta indietro rispetto alle altre leghe europee. I problemi del calcio italiano sono tanti e atavici e senza una riforma radicale sarà molto complicato invertire la rotta. La presentazione del libro di Michele Uva e Maria Luisa Colledani,  ‘Soldi vs Ideecome cambia il calcio fuori dal campo’, ospitata dalla Libreria Spazio Sette di Roma, è stata l’occasione per affrontare sogni, bisogni, illusioni, guai e malanni che affliggono il nostro calcio.

Stadi

Sugli impianti il Belpaese ha accumulato un ritardo importante. Il confronto con Spagna, Inghilterra e Germania, è abbastanza impietoso. In Serie A soltanto Juventus, Atalanta, Sassuolo e Udinese possono contare su uno stadio di proprietà, con tutti i vantaggi economici – in termini di ricavi e sponsorizzazioni – che questa soluzione porta con sé. In Serie B un solo caso virtuoso, quello del Frosinone. Spesso i progetti per gli stadi di proprietà rischiano di arenarsi in un pantano vischioso di burocrazia e autorizzazioni, come è successo ai presidenti americani di Roma e Fiorentina.

Michele Uva, dirigente sportivo e autore del volume, loda il modello tedesco. “La Germania ha organizzato due grandi eventi, i Mondiali di calcio maschile nel 2006 e quelli di calcio femminile nel 2011. Per il 2006 hanno ristrutturato i grandi impianti, quelli da più di 50.000 spettatori, mentre per il 2011 hanno ammodernato la fascia media, gli stadi da 25.000 a 50.000 spettatori. Hanno fatto una programmazione importante. Adesso ospiteranno Euro 2024 e non dovranno costruire neanche uno stadio”.

In Premier League finanche gli stadi storici sono stati ristrutturati per essere trasformati in strutture multifunzionali che hanno una vita sette giorni su sette e non solo nei novanta minuti del match”, sottolinea il direttore di Sky TG24 Giuseppe De Bellis. “C’è poi da sfatare un falso mito. Negli ultimi vent’anni ci hanno ripetuto spesso che la tv allontana la gente dagli stadi. Sono gli stadi non vivibili che allontanano il pubblico, che a quel punto preferisce una visione alternativa, più confortevole. La ristrutturazione e la creazione di nuovi impianti è la chiave per garantire uno spettacolo migliore”.

Per il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti “Non si può più pretendere che ci pensi lo Stato. Una volta i nostri Comuni costruivano gli stadi dove giocavano i ragazzi della città. Oggi non sono in grado di farlo. Lo Stato può aiutare ma i club devono fare la loro parte, come avviene altrove. Alla base della rinascita del sistema, deve esserci l’idea imprenditoriale”.

Settori giovanili

Non può essere un caso se la nazionale italiana ha guardato dal divano il secondo Mondiale consecutivo. Il calcio nostrano non sforna più talenti come in passato. La riprova è il fatto che, in mancanza di soluzioni offensive di livello, il Ct Roberto Mancini ha dovuto pescare in Argentina, assoldando l’oriundo Mateo Retegui, in possesso della cittadinanza italiana per discendenza (il nonno materno è originario di Canicattì, comune dell’agrigentino).

“Il vivaio è un asset che a lungo termine può produrre una vera patrimonializzazione per le società”, spiega il presidente della Figc Gabriele Gravina. “Noi però non puntiamo sui settori giovanili. La conseguenza? La difficoltà nel mettere in piedi una nazionale competitiva. Basta guardare la classifica del campionato Primavera. La capolista è una città di provincia con tutti calciatori stranieri, non c’è neanche un italiano. E le più importanti realtà del calcio italiano sono a metà classifica. Il decreto crescita è stato un disastro: se garantisci un vantaggio economico-finanziario sul calciatore straniero, e non crei premialità sul calciatore italiano, perché mai le società dovrebbero pensare di investire sugli italiani?”, conclude Gravina.

Fare sistema

Oggi la Premier League è per distacco il campionato più spettacolare e attrattivo al mondo. Non ha dubbi Maria Luisa Colledani sui motivi che hanno permesso un exploit del genere. “Gli inglesi, a differenza di noi italiani, hanno abbandonato il campanilismo e hanno saputo fare sistema. Hanno compreso che così si riesce a penetrare meglio nei mercati. Oggi la Premier ricava dalla cessione dei diritti tv nel mondo il triplo rispetto alle altre leghe perché propone un prodotto di altissimo livello. Noi invece ci avviamo verso la discussione del prossimo triennio di diritti tv e ci troveremo di fronte a uno scenario di liti e polemiche che non fanno bene al nostro calcio. Bisognerebbe – conclude l’autrice – che ogni presidente facesse un passo indietro per farne tutti insieme dieci in avanti. Purtroppo in Italia vince il campanilismo”.

Calcio femminile

Il movimento del calcio femminile italiano cresce, ma è ancora fragile e non riesce a sfondare. “Ci sono cinque federazioni europee che hanno superato la soglia delle 100.000 tesserate – spiega l’allenatrice ed ex calciatrice Carolina Morace – siamo ancora indietro, anche se la strada intrapresa è quella giusta. Il calcio femminile ha bisogno di idee, progetti, investimenti. L’Italia è un paese con tante risorse: abbiamo tutte le carte in regola per colmare questo gap. Ospitare l’Europeo o il Mondiale di calcio femminile potrebbe dare una spinta importante a tutto il movimento”.

 

 

 

 

 

 

 

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