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Addio a Paolo Portoghesi, il maestro del postmoderno

E’ morto all’alba nella sua casa di Calcata vicino Roma dove viveva da molti anni l’architetto Paolo Portoghesi, 92 anni. Lucido fino alla fine stava scrivendo un libro sulla bellezza. Docente universitario, progettista di fama, teorico, Portoghesi è stato il principale esponente in Italia del Postmodernismo. Tra i suoi tantissimi lavori, la moschea di Roma, Casa Papanice, sempre nella capitale, e la Chiesa della Sacra Famiglia di Salerno.

Personalità poliedrica, Portoghesi tra i suoi impegni ha spaziato dal lavoro storico-critico alla progettazione, dall’insegnamento universitario alle cariche istituzionali (nel 1979 direttore architettura della Biennale di Venezia della quale poi è stato presidente dal 1983 al 1993), ha visto realizzati moltissimi dei suoi progetti, disegnando e costruendo di tutto in Italia e all’estero. L’elenco è lungo, dalla Casa Baldi del 1959 alla moschea di Roma, forse la sua opera piu’ nota, passando per i complessi residenziali dell’Enel di Tarquinia, l’Accademia di Belle Arti dell’Aquila, il teatro di Catanzaro.

Suo anche il restauro della piazza del Teatro alla Scala di Milano, mentre fra i lavori per l’estero ci sono residenze (Berlino), giardini (Montpellier), alberghi, fast food (Mosca), la moschea di Strasburgo.

Da molti anni, insieme alla moglie Giovanna Massobrio, anche lei architetto, viveva nel borgo medievale di Calcata, alle porte della capitale in una grande e bella casa immersa in un giardino maestoso pieno di animali e abbellito da piante secolari dove aveva trovato posto anche la sua biblioteca e dove ha ospitato spesso anche i gli studenti di geoarchitettura, il corso che ha tenuto per anni alla Sapienza.

Nel 2016 ha donato il suo archivio al Maxxi. L’ultimo lavoro realizzato è del 2019, la concattedrale di Lamezia Terme, un’opera che appare un po’ la summa di tutte le sue riflessioni sul sacro, con gli svettanti campanili in acciaio corten che citano la Sagrada Famiglia di Gaudì e la facciata che quasi sembra abbracciare i fedeli invitandoli a entrare. Amareggiato per le condizioni di degrado di Casa Papanice, Portoghesi era in queste settimane al lavoro su un Manifesto per la conservazione delle opere architettoniche contemporanee. “Resta un tabù”, spiegava, sottolineando battagliero le responsabilità dei politici ma anche degli stessi architetti: “Casa Papanice era un ritorno alla natura e alla bellezza, voleva differenziarsi in modo netto dalle architetture che la circondavano. Voleva essere una profezia della città nuova. Ecco, questa è l’innovazione che, forse, è la cosa che meno è stata compresa”.

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