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Femminicidio di Giulia Tramontano, l’analisi dello psichiatra Claudio Mencacci

È stato ritrovato senza vita a Senago, nel milanese, il corpo di Giulia Tramontano, la ragazza incinta di sette mesi scomparsa nei giorni scorsi. Il fidanzato, Alessandro Impagnatiello, ha confessato di averla uccisa a coltellate e ha indicato ai Carabinieri il luogo in cui era nascosto il cadavere. All’amante, Impagnatiello avrebbe detto, dopo l’omicidio, che finalmente era “un uomo libero”. Col professor Claudio Mencacci, psichiatra e Presidente della società italiana di neuropsicofarmacologia, abbiamo analizzato il profilo psicologico di Impagnatiello, “un uomo crudele e un narcisista patologico”.

Professor Mencacci, in che termini si può commentare questo caso di cronaca?

Agghiacciante. È il termine che mi viene in mente davanti a questa vicenda, soprattutto per la crudeltà e per la totale assenza di qualunque coinvolgimento emotivo. Uno dei temi, in questo caso, è la premeditazione, la lucidità con cui Impagnatiello ha ucciso la compagna e ne ha poi nascosto il cadavere. Sarebbe più opportuno parlare di un duplice omicidio, visto che la gravidanza era già al settimo mese. E poi la freddezza. Dire “mi sono liberato”, significa intendere di aver eliminato una scoria, un peso, un fastidio.

La gravità del femminicidio è acuita dall’elemento della gravidanza?

Sì, un femminicidio di una ragazza in gravidanza avanzata. Nel passato ci sono stati altri delitti compiuti con l’obiettivo di liberarsi di quello che era considerato un peso, una responsabilità. Siamo di fronte a un’assoluta insensibilità. C’è inoltre il tema della premeditazione: è evidente che l’omicidio era nei pensieri dell’uomo da un po’; c’era la volontà di liberarsi a ogni costo di questo legame.

Quali sono i segnali che la vittima può cogliere per capire di essere in pericolo?

Ci troviamo davanti a un mentitore seriale, un uomo che manipolava le persone instaurando con esse legami patologici. Situazioni del genere, in un contesto normale, per quanto complesse si risolverebbero con la decisione condivisa di interrompere la relazione. Non certo ricorrendo all’omicidio. In Impagnatiello c’è la tendenza a sfruttare gli altri per raggiungere i propri scopi. Pur di ottenere ciò che desidera, non ha remore né si pone limiti, supera ogni ostacolo, fino ad arrivare alla soppressione dell’altro. Qui erano sicuramente presenti dei segnali di arroganza, prepotenza, prevaricazione.

Assistiamo inerti all’ennesimo caso di femminicidio. Che cosa serve per invertire questa deriva di violenza?

Dobbiamo insistere sull’educazione emotiva e sentimentale dei giovani, non lasciare l’educazione in mano ai social media. La scuola e la famiglia possono e devono giocare un ruolo centrale. Educhiamo i ragazzi ai sentimenti, al rispetto, alla gentilezza: sono le condizioni imprescindibili per il rispetto della dignità e dei diritti dell’altro. Il caso in questione è un esempio, portato all’estremo, di narcisismo patologico. L’omicida ha ucciso anche suo figlio, oltre alla ragazza a cui era legato dal punto di vista sentimentale. Le due cose non vanno disgiunte. Attenzione anche all’educazione sessuale, che troppo spesso oggi passa attraverso la lente distorta del porno.

Qual è la narrazione mediatica da evitare quando si approcciano casi del genere? 

Il racconto mediatico non deve trovare giustificazioni di nessuna sorta. Soprattutto non deve tentare di fornire spiegazioni di carattere psicologico, non bisogna cadere in questa tentazione. Ci sono delitti che vanno perseguiti e puniti. Dobbiamo essere chiari: qualunque inclinazione alla giustificazione significa non voler comprendere fino in fondo l’incredibile e assurda scelta di spegnere due vite in maniera egoistica e violenta.

 

 

 

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