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Cambiamento fa sempre rima con apprendimento

Francesco Clementi

Francesco Clementi

“Education, education, education”: questo era lo slogan che sintetizzava nell’era del laburismo britannico la New Britain di governo di Tony Blair. E fu importante dirlo allora, e poi mettere in opera quel piano di rafforzamento del sistema educativo e universitario, perché ciò riportò al centro della discussione pubblica britannica ma non solo il valore dell’istruzione e della formazione continua, cioè per tutto l’arco della vita, dei singoli dentro società sempre più complesse, aperte, dinamiche.

Eppure, nonostante quello slogan sia del 1997, il tema della formazione continua è ancora una questione difficile da affermarsi, sebbene essa assuma invece, ad esempio all’interno del sistema produttivo, una funzione ed un ruolo sempre più strategico, non soltanto per migliorare la competitività aziendale e sviluppare un maggior senso di appartenenza dei singoli alle imprese, quanto per rafforzare la consapevolezza – che è fatta anche di gratificazione e di motivazione – di coloro che operano e lavorano nei luoghi, peraltro sempre meno ‘codificabili’ secondo gli stilemi antichi, dell’economia del nostro Paese.

Dunque un investimento in formazione, nel rafforzare se stessi, rafforza anche gli altri, nello spirito chiaro dell’articolo 4 della Costituzione che, non a caso, sottolinea che “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

Allora la formazione è essenzialmente uno strumento per contribuire sempre, cioè senza interruzione o per meglio dire oltre il ciclo scolastico” obbligatorio, al “progresso materiale o spirituale della società”, perché consente di mantenere e corroborare il proprio valore aggiunto – cioè la propria capacità di essere attivo e produttivo – in un contesto nel quale l’investimento sul capitale umano è e continua a rimanere la migliore forma di ricchezza un Paese può esprimere nella modernità.

Pertanto, al di là della volontà dei singoli (sempre meno forte secondo i tassi di abbandono scolastico, sui quali ci si dovrebbe davvero interrogare) il tema della formazione nel suo complesso non può che essere un tema politico per eccellenza.
Un tema che implica l’impegno dell’ordinamento per favorire quanto più possibile (in mezzi ed opportunità, in servizi e strumenti) coloro che sempre più ormai (giovani o anziani, donne o uomini), entrano ed escono con maggiore velocità di prima dal mercato del lavoro.

A costoro infatti vanno garantiti per tutto l’arco lavorativo, e se possibile anche dopo, i modi e le forme per dilatare gli spazi delle proprie conoscenze e delle proprie competenze proprio per migliorare se stessi, e dunque anche la loro professionalità. Questo attraverso corsi e percorsi formativi che, nella logica di un progetto educativo più complesso, li facciano crescere anche personalmente, aprendo cioè i loro orizzonti in modo tale da plasmare la società in modo nuovo e significativo.

Qual è allora la sfida? Far sì che il ‘Life-long learning’, ossia il processo di apprendimento permanente o continuo non sia né un privilegio di pochi né un obbligo per molti, magari spinti a ciò dall’assenza o dalla perdita di lavoro, ma che esso sia invece sempre più visto come la premessa indispensabile per chi crede che il cambiamento di cui tutti siamo vittime o protagonisti, dentro un costante arricchimento delle conoscenze, possa essere interpretato, guidato ed indirizzato meglio solo con un continuo apprendimento.

Perché il cambiamento che viviamo ormai fa sempre più rima con l’apprendimento di cui abbiamo tutti bisogno.

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