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Hotel Hassler Roma, ospitalità senza tempo

L’ hotel Hassler compie centrotrent’anni, più o meno uno per ogni gradino della scalinata che da piazza di Spagna sale a Trinità dei Monti e per la quale scocca, già che ci siamo, un altro anniversario: tre secoli da quando i lavori prendono il via nel 1723 – l’acqua è tuttavia già un bel po’ che zampilla dentro alla Barcaccia dei Bernini – dopo decenni a inseguire una sintesi urbanistico/diplomatica tra papi e francesi su tracciato e disegno, materiali, costi & co.

Alla guida dello storico cinque stelle lusso, parte dell’esclusiva collezione The Leading Hotels of the World, siedono ora Veruschka e Roberto Wirth, rispettivamente Ceo e presidente esecutivo di Hassler Spa: gemelli poco più che trentenni, dirigono la ‘Grand Dame’ – così chiamano la struttura, la famiglia ne ha altre tra Umbria e Toscana (Parco del Principe, hotel Vannucci, Borgo Bastia Creti) – in seguito alla scomparsa del padre Roberto un anno e mezzo fa.

Artefice di tutte le innovazioni di spazi, offerta di soggiorno e servizi da quando nel 2001 ne diventa proprietario, a lui si devono l’epica e l’epoca in cui ha lasciato un segno nell’hôtellerie capitolina e oltre. Con la ristorazione, per esempio. Mezzo secolo dopo l’apertura il Roof Restaurant – negli anni ’50 è stato uno dei primi di Roma (forse il primo in assoluto) a lasciare il piano strada per quello più in alto – viene rivisto nel 2006, prende il nome di Imàgo e in pochissimo tempo s’appunta con Francesco Apreda quella stella Michelin che ancora campeggia sulle divise della cucina, guidata adesso dal giovane executive chef Andrea Antonini.

O con la dépendance del Palazzetto, mini-residenza boutique di quattro camere che fiancheggia un lato della scalinata e che nel 1998 – un quarto di secolo fa, ennesima ricorrenza – è set del film L’Assedio di Bernardo Bertolucci.

Vicende dinastiche e paradigma del turismo moderno dagli albori in Svizzera al Pincio e dintorni, almanacchi in bianco e nero e rotocalchi a colori, sfide recenti e sguardo al futuro in una Roma che muta a più velocità e incede a un passo tutto suo. C’è tanto, parrebbe troppo, eppure scorre. E sorprende. A cardare, stendere, riannodare le fibre delle vicende che ruotano dentro e intorno a questo totem dell’ospitalità luxury contribuisce anche un corposo volume, le 222 pagine di “Hassler Roma 1893-2023” edito da Maretti Editore.

I testi sono di Corrado Ruggeri – compianto decano del giornalismo, a lungo in equilibrio tra l’esotico romano (sic) di cronaca e costume e quello dei travelogue dall’Indocina – e di Giulia Grill, project manager di Hassler e sapiente conoscitrice delle sue dinamiche. Il primo capitolo è uno dei più gustosi, un carotaggio multiplo nelle storie dei Bucher dei Grigioni e dei Wirth di Lucerna, tra intrecci d’appendice e investimenti pioneristici nel comparto travel e mobilità. Documenti d’archivio, testimonianze, aneddoti e digressioni sciorinano un saliscendi geografico, architettonico e sentimentale che accompagna l’ascesa fino al civico 6 di piazza della Trinità dei Monti.

La configurazione attuale è il risultato dei lavori di rifacimento integrale voluto da Oscar Wirth – classe 1893, come l’Hassler (e nonno di Veruschka e Roberto) – durante il secondo conflitto mondiale. In curiosa analogia – absit iniuria, per carità – tra macerie e rinascita: il tempo di vedere il Comando delle US Armed Forces occupare e poi lasciare il ‘nuovo’ palazzo di otto piani e poi tutto il resto. Giusto un teaser, però (niente spoiler). Vale allora la pena di prendersi un po’ di tempo ed esplorare la zona.

Immaginando, tanto per iniziare, dove sarebbe passata la via delle Rose se il progetto di collegare con una nuova strada Trinità dei Monti ai lembi di Villa Borghese si fosse realizzata: il gioiello dei Wirth non sarebbe stato quello di oggi, forse non esisterebbe affatto. Oppure fare pochi passi dalla porta girevole e scoprire il contenitore straordinario (una coraggiosa sfida architettonica) e il contenuto d’arte e ricerca della Bibliotheca Hertziana in via Gregoriana: uno dei più convinti omaggi, appassionati e riverenti, dei tedeschi al patrimonio nostrano. Oppure-bis, il vicino palazzo Zuccari all’angolo con via Sistina: lì D’Annunzio miscelò – shaken, not stirred – vero, verosimile e plausibile con gli alter ego letterari d’antan e d’avanguardia. E poi fino a via Francesco Crispi per le oltre tremila opere, tra dipinti e sculture, della Galleria d’Arte Moderna. No, non è quella Nazionale di Valle Giulia ma squaderna un portolano notevole di arte italiana tra fine Ottocento e il secondo dopoguerra: proprio la prima metà dei centotrent’anni dell’hotel, giusto per suggerire spunti e contrappunti. E poi le diverse cappelle nelle navate della chiesa di Trinità dei Monti, viatico alla grandeur transalpina di Villa Medici, poco oltre.

L’Hassler è anche questo, volendo: un presidio centripeto di diverse radici – a loro volta legate a luoghi prossimi e lontani – e un’oasi che invita a uno slancio centrifugo, dalle terrazze e tra i saloni, dietro alla cortina di una suite (ce ne sono ventuno). Per far sempre ritorno “a casa”, tra marmi, specchi e tessuti. È così da centotrent’anni e non pare aver intenzione di stravolgere la prospettiva, anzi: può solo renderla più ricca e consapevole. Di generazione in ri-generazione.

 

 

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