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Fiocchi (FdI): “Promuovere formazione e diagnosi precoce delle malattie croniche”

Da Strasburgo arrivano novità sulle malattie croniche non trasmissibili: il Parlamento europeo in sessione plenaria ha approvato il report su queste patologie a lungo termine che si sviluppano nel tempo, generalmente causate da fattori di rischio come l’età, la genetica, lo stile di vita e l’ambiente. La formulazione della relazione riflette un maggiore sostegno del Parlamento europeo al concetto di riduzione del danno e fa eco alla decisione del BECA sulle questioni legate al tabacco. Abbiamo chiesto a Pietro Fiocchi, europarlamentare di Fratelli d’Italia e membro della Commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, di spiegarci che cosa sta accadendo a livello comunitario. 

Il 13 dicembre è stato approvato in Plenaria il report “Malattie non trasmissibili”. Si fa riferimento a quelle malattie che non si trasmettono da persona a persona, come ad esempio malattie cardiovascolari, tumori, diabete e malattie respiratorie croniche. Quali sono per lei gli esiti più rilevanti di questa relazione?

La relazione segue le linee strategiche trattate dalla commissione speciale BECA (strategia europea contro il cancro), applicando il concetto di riduzione del rischio a tutto campo, basandosi su tre aree principali di azione: la formazione, la diagnosi precoce e la promozione di uno stile di vita sano.

La promozione di uno stile di vita sano e una diagnosi precoce sono due fattori cruciali al fine di ridurre la prevalenza delle malattie non trasmissibili. Crede che questi siano temi che necessitano di una maggiore sensibilizzazione a livello europeo?

Sostengo fortemente il concetto di iniziare a formare i bambini sin dalle elementari. È perfettamente inutile cercare di formare un liceale diciottenne, che statisticamente già fuma, beve alcolici e si ciba di fast food. Inoltre, la diagnosi precoce è fondamentale, anche se i dati ci mostrano un’Europa a macchia di leopardo, con regioni virtuose che fanno screening oncologici e check-up fisici addirittura al 95% della popolazione a rischio, e altre regioni che si fermano al 5%, con conseguenze drammatiche su mortalità e sopravvivenza. 

Ritiene che un approccio incentrato sulla condivisione delle migliori pratiche tra gli Stati membri sia un metodo valido per accelerare l’efficacia delle misure di prevenzione e delle pratiche innovative?

L’Europa ha messo in campo parecchi fondi in tal senso, tra cui il “Best Practice”, che paga la sperimentazione a livello regionale per determinare I protocolli di successo sule varie patologie, per poi esportarli su tutte le altre regioni europee.

Negli emendamenti da Lei presentati e votati in Commissione ENVI, alcuni fanno riferimento alle politiche di riduzione del danno; crede che tale principio possa essere la chiave per raggiungere obiettivi tangibili in termini di prevenzione?

Sicuramente la storia insegna che il divieto totale su fumo, alcol e cibi meno sani, porta solamente a comportamenti peggiori e apre la strada a organizzazioni criminali (pensiamo al proibizionismo in America o agli scafisti del canale di Otranto). Per cui, va spinta la formazione e, dove possibile, l’utilizzo di nuove tecnologie meno impattanti.

In particolare, in un emendamento da lei presentato ed entrato a far parte del testo finale, riconosce il ruolo delle sigarette elettroniche come mezzo per smettere di fumare. Come giudica il percorso fatto da questa legislatura nel regolamentare le new categories?

Gli studi scientifici dimostrano che le alternative al fumo tradizionale sono meno pericolose e le statistiche mostrano numeri interessanti di una percentuale della popolazione fumatrice che passa alle alternative. Gli effetti di questo fenomeno si incominciano a vedere, con un trend in diminuzione dei cancri al polmone. 

Riflettendo sulla precedente relazione sul cancro (BECA) e ora sulla posizione presa in merito alle malattie non trasmissibili, come valuta gli sviluppi nel Parlamento europeo?

L’approccio è corretto e pragmatico, ma dobbiamo ricordarci che l’Ue non ha potere giuridico in sanità sugli Stati membri. Certamente ha lo strumento dei fondi, che stanno spingendo nuove tecnologie di diagnosi e terapeutiche più precise e meno impattanti e l’omogeneizzazione dei controlli preventivi.

Il Parlamento ha ribadito la propria posizione, precedentemente stabilita in BECA, sui temi della salute, ritiene che questo sia un chiaro segnale che la Commissione dovrà considerare nella formulazione di successive proposte legislative?

Un segnale forte di attenzione a questi temi viene dal fatto di aver finalmente costituito una sotto-commissione SANT, che molto probabilmente diventerà una Commissione separata da ENVI nella prossima legislatura. I dati del BECA, che parlano della possibilità di salvare 3,5 milioni di Europei dal cancro entro il 2035, hanno decisamente mostrato la direzione da seguire.

Nella precedente relazione BECA uno degli argomenti di cui si è occupato maggiormente è stata la questione relativa al radon, ossia un gas radioattivo presente in natura che può essere trovato in alte concentrazioni in ambienti interni, come case e luoghi di lavori, e la cui esposizione aumenta la probabilità di cancro ai polmoni. Come potrebbe intervenire lo Stato membro per cercare di mitigare il problema del radon negli edifici?

In Italia esiste un piano nazionale del Radon, ma è principalmente applicato negli edifici pubblici e nelle aziende, pochissimo nelle case private. Il controllo di presenza del Radon è relativamente semplice e le misure correttive non sono costosissime. Questo tema diventa ancor più urgente con la questione dell’efficientamento energetico degli edifici, perchè la coibentazione addirittura aumenterebbe la capacità dell’edificio di concentrare tale gas.

Quali sono le principali sfide che, dal suo punto di vista, l’Ue dovrà affrontare in materia di salute pubblica e le sue priorità durante per la campagna elettorale in questo campo?

Un approccio pragmatico, teso a portare a casa risultati immediati. Inizialmente, il focus principale deve essere sull’aumento delle percentuali di controlli sulle popolazioni a rischio e sull’applicazione delle nuove tecnologie mirate e meno invasive. Contemporaneamente, la formazione sin dalle elementari sugli stili di vita. A lungo termine, il miglioramento della qualità dell’acqua e dell’aria. Vi sono poi parecchie altre questioni, su cui ho già iniziato a lavorare sia in Ue che a livello nazionale , quali la creazione del database europeo sulle malattie rare e cancri pediatrici, l’oblio oncologico (recentissima una legge Italiana a tal proposito) e la libera circolazione dei pazienti in Europa (che mostra ancora una serie di ostacoli burocratici e fiscali).

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