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Cosa ci insegna il ‘Pandoro gate’: la fragilità delle imprese individuo

Chiara Ferragni
Francesco Limone

Francesco Limone

Il cosiddetto caso ‘Pandoro gate’ continua a tenere banco sui media.

Personalmente sono sempre stato critico su posizionamento, carattere e modello di business della impresa che di fatto si presenta con l’immagine della nota influencer.

Nelle mie convinzioni l’impresa è un soggetto sociale: il suo attraversare la nostra società non è mai ad essa indifferente. Ci sono imprese che la migliorano la vita delle persone (non solo in termini economici) ed imprese che la peggiorano, imprese estrattive ed imprese generative. Io credo che i modelli proposti da molti degli influencer, incentrati su consumismo, vanità e auto-celebrazione stiano facendo più male che bene alla nostra vita sociale. Ma è la mia opinione.

Forse proprio perché da sempre critico non mi sono inserito nella discussione specifica sul caso di attualità.

Recentemente però è emersa in me un’attenzione su un altro aspetto: la poca sostenibilità delle imprese fondate sull’individuo. Tocca un punto a me caro sul lato opposto: lo sviluppo sostenibile appartiene maggiormente alle imprese comunità di persone.

Alcune delle notizie che si stanno mettendo in evidenza da parte dei media sono i danni che sta incontrando il business di questa impresa in termini di contratti messi in discussione e sulla precarietà proprio delle sue fondamenta.

Gli avvenimenti, al di là dello specifico giudizio che ciascuno di noi si forma, sono sempre anche occasioni di evidenzi che spingono alla riflessione. La riflessione che è andata a risuonare ulteriormente con le mie convinzioni è appunto: quanto è fragile una impresa che si basa sulla immagine di un unico individuo.

Non è certo solo il caso delle imprese legate agli influencer. Sono tanti i casi in cui incentriamo il potere, in molti sensi, in una singola persona. È il caso dei CEO super pagati e incensati, il caso di alcuni imprenditori one-man-band, immagine pura della onnipotenza, o almeno della sua illusione. Ne sono la manifestazione conseguente i tanti libri di management con un unico gran faccione sulla copertina, che sembra quasi sempre recitare: come ho realizzato il successo di questa grande impresa praticamente tutto da solo.

Il punto di attenzione, anche come chiave degli eventi di questo caso, è: una impresa che concentra la sua immagine, i suoi punti di forza, il potere decisionale in un unico individuo avrà anche un “single point of failure”, una enorme vulnerabilità in un unico punto.

Viviamo in un contesto che è stato definito B.A.N.I.: acronimo di fragile, ansioso, non lineare ed incomprensibile. Tutto può accadere, nel bene e nel male, e prima che ce ne possiamo accorgere. Qualunque impresa può essere presa alla sprovvista. Ma a maggior ragione è fragile e poco sostenibile una impresa che ha un unico punto in cui si regge la sua solidità.

Quello di cui ci dobbiamo oggi preoccupare non è la trimestrale o il round di finanziamento. Dovremmo preoccuparci della capacità di sviluppo sostenibile. Se non vogliamo durare una notte ma vivere una vita d’impresa.

Una impresa comunità di persone, che si regge su un sistema di relazioni, dove il talento, il potere e la responsabilità sono diffusi, è evidentemente una maggiore promessa di successo sostenibile. In particolare, in tempi così incerti e complessi.

Forse dobbiamo continuare a ricordarci le lezioni che ci ha mostrato la pandemia, primo caso che abbiamo vissuto di cambiamento esponenziale globale: nessuno si salva da solo, e nessuno salva l’impresa da solo.

Il modello di impresa-individuo, per quanto questo potrà essere talentuoso, non è sostenibile. È sarà in ogni caso una impresa che è un insieme di vite umane, le cui sorti dipendono anche dal suo business.

Non ho tutti gli elementi per esprimere un giudizio sul caso specifico “Pandoro gate”. In linea generale credo di aver raccolto diversi elementi per formarmi una mia opinione non positiva sul valore sociale di diverse imprese realizzate sul modello Influencer.

Ma, a maggior ragione per quelle imprese che hanno un potenziale di generatività nella nostra società, dico: non fate l’errore di crescere con un “single point of failure”. Nei tempi che viviamo arriverà sicuramente un colpo duro. Siete più sostenibili se non puntate su uno o pochi individui. Puntate sulla qualità delle relazioni al vostro interno. Puntate sulla cultura e sul capitale sociale. Distribuite potere e responsabilità. Valorizzate il talento diffuso.

C’è un insieme di vite legato alla vita della impresa. Soprattutto per questo dovremmo riflettere criticamente sulle possibili strade dello sviluppo sostenibile.

E lo sviluppo sostenibile, ne sono sempre più convinto, appartiene maggiormente alle imprese comunità di persone.

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