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L’indignazione anti Putin è arrivata alla ‘fine del mondo’

L’indignazione per l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha spinto anche i Paesi più vicini al Polo Nord a una reazione anti Putin: hanno infatti deciso di boicottare le riunioni del Consiglio artico, l’unico forum intergovernativo che affronta questioni legate al Circolo polare artico.

Il consiglio è composto da comunità indigene e delegazioni di otto Paesi i cui confini rientrano nell’area, sette dei quali — Stati Uniti, Canada, Islanda, Finlandia, Norvegia, Svezia e Danimarca — hanno annunciato la scorsa settimana in una dichiarazione congiunta che non avrebbero partecipato al prossimo round delle riunioni previsto a maggio nella città russa di Arkhangelsk.

I membri del Consiglio hanno condannato Mosca, che attualmente è presidente a rotazione, per la sua “invasione non provocata dell’Ucraina” e hanno sottolineato i “gravi impedimenti alla cooperazione internazionale, anche nell’Artico, che le azioni della Russia hanno causato”.

Il mandato del Consiglio artico è infatti quello di preservare relazioni pacifiche e stabili tra le nazioni che si affacciano sull’area. Il suo lavoro è stato riconosciuto come un “modello per promuovere la fratellanza tra le nazioni” da accademici internazionali che hanno candidato il Consiglio addirittura a un Premio Nobel per la pace nel 2018 proprio per il suo lavoro diligente nel mantenere relazioni cooperative e relativamente pacifiche tra Oriente e Occidente.

Il lavoro del consiglio ha acquisito maggiore importanza negli ultimi anni, poiché le temperature al Polo Nord sono aumentate quattro volte più velocemente della media globale, provocando lo scioglimento delle calotte polari a un ritmo rapido.

La diminuzione di ghiaccio marino nell’Artico sta creando una serie di nuove opportunità economiche, comprese rotte di navigazione diventate recentemente percorribili e risorse ora accessibili, inclusi giacimenti di petrolio e gas, nonché riserve di minerale di ferro, rame, nichel, fosfati di zinco e diamanti.

Un’altra implicazione della riduzione di giaccio dell’Artico è la potenziale militarizzazione della regione. Le calotte polari perenni hanno storicamente concesso alla Russia una barriera protettiva naturale lungo la costa settentrionale, ma il ritiro dei ghiacci ha creato nuove preoccupazioni geopolitiche per i membri del consiglio.

Le foto satellitari del 2021 mostrano quanto sia grande la quantità di unità militari ammassate dalla Russia nell’Artico, infatti il presidente russo Vladimir Putin ha installato diversi nuovi aeroporti, basi militari e missili nucleari marittimi.

“La regione è diventata un’arena per il potere e per la concorrenza, e gli otto Stati artici devono adattarsi a questo nuovo futuro”, ha detto l’allora segretario di Stato Mike Pompeo in una riunione del 2019 del Consiglio.

Una delle direttive del Consiglio artico è l’esclusione della sicurezza militare dalla sua agenda e, nella sua dichiarazione di condanna della Russia, i membri hanno riaffermato il loro impegno nei confronti di questi principi.

“Rimaniamo convinti del valore duraturo del Consiglio artico per la cooperazione circumpolare e ribadiamo il nostro sostegno a questa istituzione e al suo lavoro” si legge nella dichiarazione, prima della critica alla Russia per la sua “palese violazione di questi principi”.

Anche le comunità indigene nell’Artico hanno espresso la loro preoccupazione per le azioni della Russia in Ucraina e per la militarizzazione del Paese nella regione. Lunedì, PJ Akeeagok, premier del territorio del Nunavut nel Canada settentrionale, ha condannato la Russia per l’invasione e ha espresso preoccupazione per il fatto che le azioni di Putin avrebbero messo in pericolo il mandato del Consiglio di mantenere la pace.

“Mentre gli investimenti e gli interessi globali della Russia crescono, temiamo che la loro aggressione avrà inevitabilmente un peso negli affari dell’Artico”, ha scritto Akeeagok in una lettera al primo ministro canadese Justin Trudeau questa settimana.

L’articolo originale è su Fortune.com

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