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Ecco quanto vale l’economia dell’usato

L’economia dell’usato cresce. E il paradigma del riciclo occupa l’agenda dell’Europarlamento, che ha da poco dato l’ok per un pacchetto di provvedimenti che impongono nuovi obiettivi per una corretta gestione dei rifiuti, e il riutilizzo delle materie prime. Dalla second-hand economy che interessa oggetti e automobili, all’economia circolare che corregge gli sprechi di un consumismo esasperato, dietro alla “seconda vita” delle cose si sta creando un business.

Partiamo dall’usato. Secondo i dati dell’Osservatorio Second Hand Economy elaborati da Doxa per Subito.it, il sito per la compravendita di oggetti di seconda mano, l’economia dell’usato vale, nel 2017, 21 miliardi di euro, pari a 1,2% del Pil italiano con una crescita dell’11% rispetto al 2016 (19 miliardi). Stando all’Osservatorio, quasi un italiano su due, lo scorso anno, ha venduto o comprato usato, e il 42% l’ha fatto online: le transazioni digitali che interessano oggetti di seconda mano sono aumentate del 72% dal 2014. Cosa si vende? Un po’ di tutto, ma soprattutto motori, che occupano una fetta di 15 miliardi, seguiti da oggetti per la persona (3,6 miliardi) ed elettronica (1,3 miliardi).

Oltre all’online, l’usato trova clienti anche nei negozi fisici. Negli ultimi anni è esploso il franchising del Mercatino srl, una rete di punti vendita dove tantissime persone portano oggetti, abbigliamento e arredamento per venderlo e rimetterlo in circolo. Oggi Mercatino conta 186 negozi in tutta Italia. Secondo i dati della società, la rete di negozi ha permesso di recuperare negli ultimi 6 anni in Italia 55.328.883 oggetti: solo da giugno 2016 a maggio 2017 sono stati venduti da Mercatino 7 milioni di oggetti usati, e la caratterista dei negozi “di quartiere” permette di ridistribuire gli oggetti nello stesso territorio. Un modello che segue la cosiddetta economia circolare.

L’economia circolare prevede di ridurre l’impatto ambientale dei nostri consumi attraverso il riuso e il riciclo: rimettendo in circolazione oggetti usati si diminuisce la produzione dei rifiuti a monte (pensate solo all’abbattimento del packaging), e promuovendo operazioni di riciclo si contribuisce a salvare materie prima che andrebbero perse. L’economia circolare si contrappone al consumo lineare che prevede un modello produzione-consumo-scarto, chiudendo il cerchio: attraverso la riduzione degli imballaggi, l’estensione del ciclo di vita dei prodotti e il riciclo.

Secondo il rapporto “La bioeconomia in Europa” del Centro Studi Intesa San Paolo, l’economia circolare in Italia ha raggiunto nel 2016 un valore della produzione pari a 260 miliardi di euro (8,3% sul totale italiano). L’importanza di questo modello è quantificata anche dal crescente numero di startup innovative che vengono registrate nel settore: sono 576 le startup dell’economia circolare in Italia, ovvero il 7% sul totale. Il dato sulla bioeconomia posiziona l’Italia al terzo posto in Europa dopo Germania e Francia. Il Ministero della transizione ecologica del governo Macron, in particolare, ha appena pubblicato la “Route économie circolaire”, un programma in 50 punti per gestire meglio gli scarti, con l’obiettivo di dimezzare la produzione dei rifiuti entro il 2025 con la creazione di almeno 300 mila nuovi posti di lavoro.

Il Parlamento Europeo, infine, ha appena approvato un pacchetto di misure relative all’economia circolare che impongono nuovi obiettivi nella quota di rifiuti da riciclare, che passerà dall’attuale 45% al 55% nel 2025. Questa quota verrà progressivamente aumentata per arrivare al 60% nel 2030 e al 65% nel 2035. Le stime europee prevedono che grazie all’economia circolare ci sarà un aumento del Pil del 7% da qui al 2030, con conseguente creazione di più di un milione di posti di lavoro nel settore.

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