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Confitarma e Abi per gestione ‘concordata’ npl shipping

Il rapporto è consolidato e continuo, i tavoli aperti diversi: Confitarma, la Confederazione Italiana degli armatori, da anni dialoga con Abi, l’Associazione bancaria italiana per favorire “un sempre maggiore sviluppo della relazione tra enti finanziari e imprese armatoriali”. Un dialogo di “comune interesse”, l’ha definito il presidente Mario Mattioli nella relazione con cui a fine ottobre ha aperto l’assemblea annuale. A maggior ragione su un argomento delicato come la gestione dei crediti incagliati, i cosiddetti npl (non performing loans), che tanto hanno pesato e continuano a pesare sui conti delle banche, italiane e non, lascito ingombrante della crisi che nel 2008 ha colpito l’economia mondiale.

Abbiamo bisogno di soluzioni innovative per risolvere questo problema – spiega Mattioli a Fortune Italia – l’asset nave non è come un bene immobiliare e gestirlo allo stesso modo può produrre, anche per l’istituto finanziario, un ulteriore aggravio, invece che un’uscita in positivo dal credito incagliato”. Soprattutto, il presidente di Confitarma vuole evitare fenomeni speculativi, che svalutino in maniera eccessiva il valore del bene nave. “Per questo abbiamo aperto un tavolo ad hoc con l’Abi, che si è riunito anche in questi giorni e si è riconvocato di nuovo all’inizio dell’anno. Vogliamo favorire percorsi virtuosi di alleanza e collaborazione, che diano garanzie ad entrambi i soggetti, la banca e l’armatore”.

Dopo l’ingresso della Cina nel Wto, dal 2000 al 2008 la richiesta di navi ha avuto una fortissima impennata, con relative ripercussioni sui prezzi praticati dai cantieri navali, che non erano in grado di far fronte alla domanda. Allo stesso tempo anche i noli hanno continuato a crescere, così che nel finanziare l’acquisto delle navi le banche hanno usato leve sempre più elevate, da un 30% in equity e un 70% a debito si è arrivati a ratio di 10 a 90 e addirittura 5 a 95, spesso anche con l’utilizzo di derivati sui tassi da pagare.

“A copertura degli investimenti – racconta Mattioli – le società armatoriali potevano portare il valore della flotta di proprietà, che si andava rapidamente rivalutando. Quando nel 2008 è arrivata la crisi, che ha continuato a colpire fino al 2011, il prezzo delle navi è crollato e il peso dei debiti si è appesantito, fino a creare sofferenze importanti”.
La crisi ha avuto e sta avendo ancora effetti negativi sulle società armatoriali, in particolare quelle impegnate nei trasporti alla rinfusa di carichi petroliferi e secchi. “Il sistema comunque ha tenuto, il trasporto marittimo continua ad essere ricco di opportunità di sviluppo – rassicura Mattioli – e ora certe situazioni finanziarie delicate che si sono create negli anni vanno risolte, anche attraverso nuova capacità di finanziamento. La fase critica, durata dieci anni è alle spalle: ora abbiamo davanti un periodo di ripresa degli investimenti”.

Vediamo quali potrebbero essere le “soluzioni innovative” auspicate dall’armamento italiano. “Alle banche che stanno pianificando la cessione di npl, per pulire i bilanci e migliorare le loro performance sui ratio – entra nel merito il presidente – chiediamo di farlo in maniera concordata con l’armatore, attraverso fondi a sostegno che abbiamo una visione di medio-lungo periodo. Fondi che mantengano l’attività imprenditoriale e non mettano semplicemente sul mercato le navi come farebbero con un terreno o un immobile. Il nostro obiettivo è mantenere attivo il legame, in particolare nelle regioni del Sud, in Campania e in Sicilia, tra la società armatoriale e il territorio, conservando il know how e garantendo le maestranze. Insomma, auspichiamo valori di realizzo più coerenti, che diano anche alla società la possibilità di ristabilire sani parametri patrimoniali. Cosi’ evitiamo anche di disperdere valore per il Paese”.

Con la crisi dal Registro internazionale sono uscite circa 60 navi, diverse probabilmente cedute perché garanzia sottostante all’accensione della leva finanziaria per il loro acquisto. La cifra complessiva di NPL relativi al settore dello shipping, secondo le stime di alcuni studi, potrebbe aggirarsi attorno ai 7 miliardi. Confitarma guarda anche con grande interesse a un dialogo più serrato e continuo con le realtà, in grande crescita nel panorama nazionale e internazionale, che rappresentano fonti alternative al finanziamento bancario. Negli ultimi vent’anni, da quando è stato istituito il Registro Internazionale, la flotta italiana è di fatto raddoppiata in termini di capacità, passando da circa 8,5 milioni di tonnellate di stazza a 16,3 milioni di tonnellate, e si è rinnovata anche sotto il profilo qualitativo: oggi la bandiera italiana si colloca al primo posto nel mondo per numero di marittimi nazionali e comunitari occupati, pari a circa 38mila nel 2017, di cui oltre 8.500 impiegati a terra. Il cluster marittimo nel suo complesso produce oltre 33 miliardi di euro di beni e servizi e rappresenta il 2% del Pil nazionale, dando lavoro a quasi 500mila persone. Nel 2017 circa il 60% delle merci importate e il 50% di quelle esportate hanno viaggiato via mare.

“Per dare una voce comune alle componenti industriali del mare, perché l’Italia torni a sentirsi un paese marittimo – annuncia il presidente Mattioli – d’accordo con il presidente Vincenzo Boccia, siamo pronti a costituire il primo nucleo della ‘blue economy’ di Confindustria, insieme con Assiterminal, Assologistica, Assonave, Federpesca e Ucina. Sarà una federazione di federazioni, di cui potrebbe far parte anche Assogasliquidi, l’associazione dei depositi costieri”.

A sostegno della ‘blue economy’ Mattioli sollecita il ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Danilo Toninelli e il governo, a creare un organismo dedicato, per dare una governance pubblica efficace al mondo marittimo-portuale. “A nome dell’armamento italiano pongo altre due istanze fondamentali – conclude il presidente di Confitarma – Il mantenimento del Registro Internazionale, che ha prodotto risultati importanti in questi primi vent’anni di vita, e la semplificazione delle norme e delle procedure burocratiche che incidono sulla competitività delle nostre imprese. E’ mai possibile che la sanità marittima sia ancora regolata da un regio decreto del 1895, quando si andava a vela e a carbone?”.

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