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Reddito cittadinanza (forse)

Fare le cose perché vanno fatte comunque, perché sono state promesse a prescindere dalla realtà. Il reddito di cittadinanza, nella versione conosciuta finora, è un’insegna pubblicitaria. E anche con la luce spenta. È stata scritta una norma piena di buoni propositi, di ipotesi, di condizioni. La più evidente, e anche quella più significativa, porta un messaggio chiaro: se non bastano i soldi, abbiamo scherzato. Lo prevede il comma 6 dell’articolo 12, mettendo nero su bianco che se il costo supera lo stanziamento, il sostegno si riduce, fino a scomparire.

Il reddito di cittadinanza è uno strumento di politica economica che può essere discutibile, quanto a opportunità, efficacia, effettiva capacità di sostegno alle fasce più povere e impatto sul mondo del lavoro. Su questi aspetti, gli economisti si dividono. Liberisti contro statalisti, sostenitori del mercato e quelli dell’economia sociale. Se ne può parlare, con argomenti da valutare su entrambe le sponde.

Il dato certo, però, è che una misura abbozzata, arruffata, condizionata, ha l’effetto sicuro di buttare i pochi soldi a disposizione. La stessa forma sperimentale, provvisoria, precaria, del reddito di cittadinanza tradisce la natura reale del provvedimento: un tentativo, poco studiato e ancora meno metabolizzato, che va fatto per tenere buona una base, quella grillina, già duramente messa alla prova dalla necessità di assecondare la politica aggressiva di Salvini su migranti, sicurezza, diritti civili.

Doveva essere una misura di bandiera. Così, è una bandierina di carta, esposta al vento forte, con molte possibilità di strapparsi alla prima folata più consistente.

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