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La nuova globalizzazione: conta il talento, non il costo del lavoro

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di Alan Murray – La globalizzazione è morta? Per più di mezzo secolo, i produttori hanno creato catene di approvvigionamento globali che acquistavano beni ovunque i costi (i salari) erano più bassi e li vendevano ovunque la domanda fosse maggiore. La tendenza ha guidato la crescita mondiale, alimentato l’ascesa di molti paesi in via di sviluppo (in particolare la Cina), e ha portato alla più grande riduzione della povertà nella storia. Ha anche contribuito a alimentare una reazione politica nei paesi sviluppati.

Nell’ultimo decennio, tuttavia, questa tendenza si è invertita. Un nuovo studio del McKinsey Global Institute rileva che la quota di beni prodotti in tutto il mondo scambiati oltre confine è diminuita drasticamente, passando dal 28,1% nel 2007 al 22,5% nel 2017. Ciò potrebbe riflettere in parte la reazione politica contro il commercio internazionale. Ma riflette anche l’aumento della domanda dei consumatori in Cina e in altri paesi in via di sviluppo (stanno acquistando più beni propri), oltre che ci siano migliori catene di approvvigionamento nazionali in quei paesi.

Ma ecco il grattacapo: mentre il commercio di beni è in calo, lo scambio di servizi sta aumentando vertiginosamente. Le statistiche americane attribuiscono solo il 23% di tutto il commercio ai servizi. Ma il rapporto McKinsey dice che questi numeri escludono alcuni aspetti molto significativi del commercio di servizi che, se inclusi, arriverebbero alla metà di tutti gli scambi.

“La globalizzazione non è morta; è solo cambiata”, afferma Susan Lund, partner di McKinsey e leader dell’istituto.

Ciò ha alcune importanti implicazioni per l’economia globale. Tra di queste:

– Il commercio internazionale non è più guidato dalla ricerca di salari bassi. Secondo il rapporto, meno del 20% degli scambi si basa sull’analisi sul costo del lavoro.

– Il commercio basato sulla conoscenza è alle stelle. Gli investimenti in beni immateriali – ricerca e sviluppo, forti brand, proprietà intellettuale – sono raddoppiati, intesi come percentuale del commercio, dal 5,5% al ​​13,1%.

Le implicazioni per le politiche pubbliche sono chiare. Limitare il commercio di beni materiali significa combattere l’ultima guerra. E il tentativo di limitare il commercio di proprietà intellettuale e beni immateriali è da pazzi. Nel prossimo round della globalizzazione, saranno i paesi con il talento migliore, non quelli con i salari più bassi, che prenderanno il sopravvento.

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