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Gli aeroporti funzionano, perche’ cambiare? Per aiutare Alitalia?

Una ‘Conferenza nazionale sulle infrastrutture, trasporti e territorio’ come quella annunciata personalmente pochi giorni fa dal Ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Danilo Toninelli, con apposita conferenza stampa, non ha mai fatto male a nessuno. Riunire i cosiddetti “stakeholders” sotto uno stesso tetto per condurre un’approfondita e attenta ricognizione su un particolare comparto dell’economia può essere molto utile per programmare le strategie e le azioni da mettere in campo per lo sviluppo futuro. Negli ultimi vent’anni quasi nessun ministro si è negato un “Piano generale dei trasporti e della logistica”. O una Conferenza ad hoc. A patto, però, che la Conferenza serva davvero a fare il punto della situazione per andare oltre, e non sia propedeutica alla consueta tabula rasa di tutto quel che è stato fatto prima per ricominciare da capo. Vizio tipico e antico dei governanti italiani, pensare di essere sempre all’anno zero e di dover, ogni volta, scoprire da capo l’acqua calda. Vizio responsabile, tra gli altri, di 25 anni di acqua pestata nel mortaio: sarà un caso che da un quarto di secolo l’Italia è sostanzialmente in stagnazione e non riesce a tenere il passo con i tassi crescita della media europea e/o dei principali Paesi dell’area euro?

A far sorgere il dubbio non è tanto il primo dei cinque appuntamenti in calendario, quello su “Trasporto aereo e aeroporti” seguito direttamente dal sottosegretario Armando Siri – gli altri quattro sono “Politiche urbane e sviluppo sostenibile”, “Mobilità sostenibile e trasporto pubblico locale”, “Autotrasporto” e “Porti, navigazione marittima e autorità portuali” – in programma mercoledì 20 e giovedì 21 marzo, e che sarà aperto dal Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte e dal Vice Presidente del Consiglio e Ministro dell’Interno Matteo Salvini e, com’è ovvio, dal Ministro Toninelli. Il problema è il Disegno di legge 727, già in discussione all’VIII Commissione del Senato (Lavori pubblici, comunicazioni) che delega il governo a riordinare le disposizioni legislative in materia di trasporto aereo, presentato da cinque senatori del Movimento 5 Stelle. Ora, se c’è un settore che ha il vento nelle ali, per restare alla metafora aeronautica, è proprio il trasporto aereo. Non solo: il riordino del comparto, con la classificazione degli aeroporti nazionali e l’approvazione del Piano nazionale degli aeroporti, risale a poco più di due anni fa, rispettivamente al 27 agosto 2015 e al 2 gennaio 2016.

Vediamoli i numeri: il 2018 si è chiuso con 185,7 milioni di passeggeri, con un aumento del 5,9% sul 2017, ovvero dieci milioni in più. I tre aeroporti principali, Roma Fiumicino, Milano Malpensa e Venezia Marco Polo, hanno tutti fatto segnare record storici. Come richiama espressamente il disegno di legge delega “il settore aeroportuale vale oggi il 3,6 per cento del Pil… l’impatto dell’aviazione civile sull’economia è pari a 70 miliardi di euro… L’impatto diretto è di 18 miliardi, l’indiretto arriva a 53 miliardi di euro. E le previsioni di crescita per il futuro prevedono di raggiungere 150 miliardi”. Ogni passeggero, in media genera, un indotto diretto di 85 euro e uno, indiretto, di ben 400 (tra pernottamenti, pasti, intrattenimento e spostamenti). Ogni investimento ha un effetto moltiplicatore pari a 1/7 sull’economia del Paese e genera benefici per l’intero settore e per l’indotto.

Come si conciliano questi numeri con la presentazione di una legge delega che riordini e rilanci il settore? Dove sta l’esigenza di “ridefinire la classificazione degli aeroporti”, rispetto a due anni e mezzo fa? Perché “definire i criteri per il riordino” dell’Enac, l’Ente nazionale per l’aviazione civile, che è il regolatore e certificatore del settore, come gli enti gemelli degli altri Paesi europei, raggruppati nell’Ecac, l’Ente europeo per l’aviazione civile”? Per trasferire competenze all’Art, l’Autorità per la regolazione dei Trasporti? Sarebbe piè efficiente? E perché mettere in discussione il principio che ogni singolo gestore aeroportuale debba avere i conti in equilibrio? Perché invocare il modello spagnolo dell’Aena, la società pubblica che gestisce gli aeroporti del Paese, quando l’Italia ha scelto, come altri Paese europei, un modello diverso, ovvero di far gestire gli scali (pubblici o privati, la proprietà non rileva) a operatori specializzati sulla base di concessioni quarantennali che corrispondono a precisi piani di investimento e di crescita?

Conclusione: qualcuno pensa che il settore aeroportuale italiano, con le sue best practices – per esempio l’aeroporto romano Leonardo Da Vinci ai vertici delle classifiche europee per puntualità, l’Enav, l’Ente della navigazione aerea, considerato un gioiello a livello internazionale tanto da essere collocato in Borsa, la stessa Enac, chiamata ad affiancare e supportare analoghi enti in Paesi in via di sviluppo – sia all’anno zero? Qualcuno pensa, forse, di ri-nazionalizzare anche gli aeroporti, insieme alle autostrade? Con le parole di Fabrizio Palenzona, presidente di Assaeroporti: “Ci abbiamo messo dieci anni a fare il piano degli aeroporti, non lo disfiamo in sei mesi. Quel piano è un pezzo del futuro, abbiamo bisogno di programmazione a lungo termine, di guardare ai prossimi venti, trenta anni”. A meno che non di aeroporti si tratti, in realtà, ma ancora una volta di norme volte ad aiutare la ri-nazionalizzata Alitalia. A scapito, appunto, dei bilanci degli aeroporti. Un film già visto. Finito male, se siamo ancora qua a contare quanti miliardi – 8,7 per la precisione – la compagnia aerea nazionale sia costata finora ai contribuenti italiani.

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