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Brexit, gli effetti del no-deal sul sistema Italia

Dopo due anni di trattative, le acque attorno alla Brexit non sembrano ancora essersi calmate, anzi. La scorsa settimana il Parlamento britannico ha bocciato anche l’ipotesi di un ‘no deal’, ovvero la possibilità per il Regno Unito di un’uscita dall’Unione senza nessun tipo di accordo. E secondo un portavoce di Downing street, non c’è ancora una svolta fra Theresa May e i ribelli della sua maggioranza.

I colloqui proseguono con gli alleati nordirlandesi del Dup mentre lo speaker della Camera dei Comuni, John Bercow, ha posto il veto a un terzo tentativo di ratifica dell’accordo proposto dalla May. Nel governo è choc e si accusa Bercow di ‘interventismo’. Da Bruxelles intanto una fonte Ue fa sapere che i 27 sono pronti ad attendere anche la settimana prossima e valutare una richiesta di rinvio “fino a un’ora prima” della scadenza d’uscita del 29 marzo.

Il braccio di ferro tra Londra e Bruxelles quindi prosegue, ma al di là delle considerazioni politico-diplomatiche, un ulteriore tema su cui interrogarsi riguarda gli effetti economici che potrebbe provocare un ‘non accordo’, soprattutto per le imprese italiane e, più in generale, per il sistema Paese. Ne parla l’avvocato Francesco Giuliani, partner dello Studio Fantozzi, esperto in diritto e contenzioso tributario.

Quali potrebbero essere le conseguenze di una Brexit ‘no-deal’ per il sistema Italia?

Se davvero il parlamento britannico consegnasse alla storia un ‘no-deal’, la conseguenza più significativa sarà probabilmente una riduzione degli scambi e, per quanto riguarda l’Italia, una diminuzione dell’export Italiano in Regno Unito. Questo ‘worst case scenario’ è definito come drammatico dagli esperti, con possibili rallentamenti alla frontiera negli scambi di merci, con alcuni commentatori che sono arrivati a prevedere potenziali problemi di approvvigionamento di viveri e medicinali per il Regno Unito. L’altra problematica potrebbe essere legata all’impatto sul nostro sistema economico della disgregazione del ruolo di Londra come centro finanziario Ue, anche se in quel settore è presumibile che i grandi attori si strutturino altrove molto velocemente, e buona parte già lo ha fatto.

L’attuale contesto sembrerebbe mettere in discussione il primo pilastro del mercato unico, cioè l’unione doganale. Cosa ne pensa?

L’uscita dell’UK ‘senza accordo’ farebbe tornare a essere il canale della Manica una ‘barriera’ marina all’interno dell’Europa. Le merci non potrebbero circolare liberamente né in entrata né in uscita ma dovrebbero scontare il pagamento di dazi doganali. Dovrebbero essere accompagnate da dichiarazioni doganali sommarie di entrata e uscita. Gli operatori che attualmente effettuano transazioni nel Regno Unito dovrebbero registrarsi presso le autorità doganali. Le autorizzazioni doganali concesse dalle autorità britanniche prima della hard-Brexit non sarebbero più valide per il resto della Ue, e quelle rilasciate nell’Ue non sarebbero più valide in Regno Unito, e anche gli scambi con Paesi terzi ne sarebbero colpiti. Questo si tradurrebbe in un aumento dei costi dell’export italiano che, aggiunto alla presumibile svalutazione della sterlina rispetto all’euro, potrebbe avere quale conseguenza un crollo del nostro export verso il Regno Unito.

Che ripercussioni potrebbero esserci in tema di imposte, ed in particolar modo sulla questione IVA?

Per quanto concerne l’IVA, le conseguenze sono tutto sommato più semplici da prevedere: le operazioni “intra-Ue” saranno da un giorno all’altro trasformate in esportazioni/importazioni. Anche in questo caso, tuttavia, non si può escludere aggiustamenti significativi, che potrebbero avere come conseguenza un’ulteriore riduzione degli scambi tra Regno Unito e gli altri Paesi Ue. Non soltanto aumento di costi di importazione dovuti alle formalità doganali e tempi maggiori per il rimborso, ma anche ulteriori costi di compliance dovuti al differenziarsi delle normative: se infatti è presumibile che il Regno Unito mantenga una imposizione sul valore aggiunto, non sussistendo più vincoli ai parametri fissati dalle direttive Ue è possibile che vengano apportate modifiche via via più impattanti sugli scambi con gli altri Stati membri. Londra potrebbe applicare aliquote ridotte a suo piacimento su determinati beni, oppure modificare la base imponibile o anche creare tributi di scopo che si sovrappongono in tutto o in parte all’IVA (possibilità vietata dall’ordinamento Ue). Si pensi, ad esempio, a un’ipotetica imposta sul valore aggiunto ‘ambientale’ che colpisca solo la plastica usa e getta.

Quali impatti potrebbero verificarsi sulle società Italiane parte di gruppi multinazionali? Alcuni di questi sembrerebbero non essersi ristrutturati in previsione della Brexit.

Per i gruppi multinazionali (con società in Regno Unito) che non si siano ristrutturati in previsione della Brexit e per le società italiane che fanno parte di questi gruppi, la hard-Brexit potrebbe comportare significativi aggiustamenti in negativo, perlomeno sotto il profilo finanziario. Avremmo infatti l’inapplicabilità di quelle direttive in materia di fiscalità diretta che hanno consentito di avere, a determinate condizioni, la neutralità (non applicazione della ritenuta) nel pagamento dei dividendi (madre-figlia), degli interessi e delle royalties, oppure la neutralità delle operazioni straordinarie (in questo caso con il rinvio dell’imposizione). Potrebbero emergere, inoltre, problemi legati agli accordi sul commercio internazionale di cui è parte la Ue che non coprirebbero più la parte di traffici commerciali di un ipotetico gruppo multinazionale originati nel Regno Unito, con automatica diminuzione delle tutele da azioni discriminatorie o limitazioni tariffarie nei Paesi di esportazione dei beni.

Uno dei temi più caldi del divorzio tra UK ed UE riguarda il confine tra Irlanda e Irlanda del Nord. Che effetti potrebbe generare la questione a livello fiscale?

A livello fiscale la questione che si pone è la medesima che riguarda il confine marino, e in questo caso nello scenario ‘no deal’ dovrebbe nuovamente sorgere una barriera doganale: un muro, una rete, oppure una barriera tecnologica fatta di telecamere di sorveglianza, droni o altro. In ogni caso, e a parte le tecnicalità, l’aspetto più preoccupante è che l’hard-Brexit per quanto concerne il confine tra Irlanda e Irlanda del nord, riporta alla memoria capitoli molto tristi della storia d’Europa, resi iconici da quella tragica ‘Bloody Sunday’ che ha ispirato capolavori della letteratura e della musica.

Quali conseguenze potrebbe avere una Brexit ‘no-deal’ sull’intero sistema economico Ue?

Fior di economisti hanno già stimato le conseguenze del ‘no deal’ che rischiano di essere pesantissime per il Regno Unito: l’Fmi prevede oltre il 6% di Pil in meno; Bank of England equipara le conseguenze di una Brexit no-deal a quelle della crisi dei sub-prime del 2008. Si prevedono conseguenze molto gravi anche per tutta l’economia Ue: sempre l’Fmi stima per il caso di hard-Brexit una diminuzione media di Pil nell’Unione europea di quasi l’1,5%, con particolare impatto per l’Irlanda (che perderebbe il 4% di Pil) e con conseguenze anche per l’Italia, con una diminuzione dello 0,5% di Pil, un risvolto particolarmente pesante essendo il nostro Paese già oggi in recessione tecnica. Insomma, c’è da sperare davvero che i leader britannici abbiano la forza di fare un passo indietro, decidendo di restare nella famiglia Ue.

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