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Boeri, senza aumento Iva si rischia infrazione Ue

Elezioni o no, il tema dell’aumento dell’Iva, strettamente legato alla possibilità che l’Italia ha di arginare il debito pubblico, è un’emergenza che va affrontata subito. A lanciare l’appello è l’ex presidente dell’Inps, Tito Boeri il quale, in un’intervento su Repubblica, ricorda che lo spettro della procedura d’infrazione aleggia ancora sul Paese. Tutte le forze politiche, fa notare Boeri “sostengono di non volere aumentare l’Iva”, perché “nessuno si vuole intestare un così visibile aumento delle tasse”, ma senza quell’aumento “siamo destinati a sforare e non di poco la soglia del 3% di disavanzo”.

A quel punto, la procedura di infrazione “sarebbe inevitabile e, con questa, si avvierebbe una spirale di aumenti degli interessi sul debito pubblico e disavanzi crescenti che potrebbe, volenti o nolenti, portarci fuori dall’Euro, in un contesto internazionale pieno di insidie”, avverte Boeri.

Sia che si vada subito a nuove elezioni, sia che ci sia un governo di garanzia che porti al voto in primavera, oppure che si arrivi alla formazione di un nuovo governo destinato, almeno sulla carta, a durare l’intera legislatura, “arriveremo del tutto impreparati a una sessione di bilancio particolarmente impegnativa”, sottolinea l’esperto.

E aggiunge: “dobbiamo dimostrare sul campo che siamo in grado di tenere sotto controllo i conti pubblici, con o senza un governo nel pieno delle sue funzioni”. Una riduzione della pressione fiscale sul lavoro, abbinata a un aumento dell’Iva, ricorda Boeri, “è stata la chiave del ritorno alla crescita della Germania agli inizi del nuovo millennio. Allora era la Germania il grande malato d’Europa. Oggi siamo noi a vantare questo triste primato”.

E poi spiega che una svalutazione fiscale, “che fa aumentare il prezzo delle importazioni ma non quello delle esportazioni, cui non si applica l’Iva, è l’unica consentita nella moneta unica”. Nell’arco della legislatura, questa “scelta di sopravvivenza”, conclude Boeri, “potrebbe tradursi in una riduzione della pressione fiscale giocando sui dividendi della crescita in termini di credibilità esterna del nostro Paese, dunque minore spesa per interessi sul debito”.

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