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Non basta un compromesso, serve un governo vero

Non basta un compromesso per fare un governo. E non bastano una somma di convenienze per fare l’interesse del Paese. La velocità con cui la narrazione della politica passa dal baratro alla salvezza, dalla crisi alla sua soluzione, dal vuoto assoluto alla rappresentazione di una piena e laboriosa operatività è sempre sorprendente. La realtà è decisamente più complessa.

Basta partire da una rapida ricognizione del percorso personale di Giuseppe Conte, che ha appena ricevuto l’incarico di formare il nuovo governo espressione della maggioranza Cinquestelle-Pd, per descrivere una rapida metamorfosi. L’avvocato venuto dal nulla, o quasi, è stato scelto come presidente del Consiglio del governo giallo-verde, un anno e mezzo fa, per il suo profilo sbiadito. Una figura utile solo a fare da notaio, a garantire il rispetto di un contratto firmato da due vicepremier, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, protagonisti assoluti della scena. Ha subito per mesi le decisioni di altri, è intervenuto per mediare quando i primi contrasti sono diventati più seri. Ma è cresciuto strada facendo. E’ diventato per necessità il riferimento di chi, dal Quirinale alla Commissione Ue, ha cercato una sponda che assicurasse un minimo di interlocuzione nei momenti più difficili. Poi sono arrivati i primi no, via via sempre meno timidi. Fino allo showdown del Senato e alla resa dei conti con Matteo Salvini. Oggi ha in mano la possibilità diventare un premier con ampi poteri e il leader di un Movimento che l’aveva scelto per restare nell’ombra. Ma deve dimostrare di poter essere un buon Presidente del Consiglio.

Altrettanto plastica la trasformazione dei due partiti che escono dalla crisi con la responsabilità di formare la nuova maggioranza. L’elenco delle reciproche accuse, dei proclami, e delle relative abiure, è sotto gli occhi di tutti. M5S e Pd erano due partiti in crisi, il primo per effetto dell’ultimo anno di pessimo governo, il secondo per una malattia cronica che si è conclamata con la brusca interruzione della stagione renziana. Oggi, resuscitati dal suicidio politico di Salvini, sono chiamati a una sfida che rischia di essere più grande delle loro possibilità. Soprattutto per le divisioni interne e per la propensione che hanno ampiamente dimostrato in questi giorni a difendere recinti e posizioni acquisite. Ma Cinquestelle e Pd devono dimostrare di saper diventare una maggioranza solida.

Il vero collante della nuova alleanza è stata finora la comune convenienza a scongiurare il ritorno alle elezioni. Ora, centrato il risultato minimo, dovrebbero avere l’ambizione di cambiare passo. L’unica chance che hanno di uscire dal percorso di rapido declino sul quale si stanno muovendo è quella di fare un buon governo e di governare bene. Saranno decisivi i prossimi giorni, perché servono personalità e competenze in grado di costruire una proposta nuova. E sarà indispensabile chiudere con il passato.

La discontinuità che viene invocata dal Pd, che ha bisogno di giustificare il proprio impegno cancellando l’immagine di una staffetta con la Lega, che è comunque nei fatti, deve essere sostanziale. Soprattutto perché il governo giallo-verde ha fatto poco e male. Il livore degli ultimi anni, la disputa tra Grullini e Pidioti, non va solo messo sotto il tappeto. Le differenze restano, e vanno considerate e rivendicate, ma le due forze politiche devono trovare il modo di individuare una soglia sufficientemente alta di fiducia e rispetto reciproco.

E’ la condizione essenziale per lavorare a un programma di governo che metta finalmente al centro il tentativo di dare le risposte che servono: dall’economia, con la crescita e il lavoro, ai diritti. Se così non fosse, se il giallo si sommasse al rosso senza un’elaborazione politica condivisa, si aprirebbe una nuova stagione di inutile e dannosa contrapposizione. Non basta fare di Conte uno statista o di Zingaretti e Di Maio due leader illuminati. Perché mentre la narrazione archivia velocemente i suoi passaggi, la realtà è più complessa. E serve un governo vero, non il risultato di un ennesimo compromesso.

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