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A che gioco sta giocando Di Maio?

Si può cambiare idea, come hanno ampiamente dimostrato tutti i protagonisti della crisi in corso. Si possono giocare fino in fondo le proprie carte. Si può anche bluffare come in una partita di poker. Ma le parole del leader dei Cinquestelle, Luigi Di Maio, sono qualcosa di diverso. Sono la puntuale demolizione di tutto quello che faticosamente, e non senza contraddizioni, è stato costruito in questi giorni. Con la regia istituzionale del Capo dello Stato Sergio Mattarella e, fino a prova contraria, con il suo stesso contributo. Sono parole che non si possono che leggere come la sconfessione delle sue stesse comunicazioni al termine delle consultazioni al Quirinale. E allora bisogna porsi una domanda chiara: a che gioco sta giocando Di Maio? E’ solo una sua partita personale? O sta portando il Movimento che guida a una clamorosa retromarcia?

Il leader politico dei Cinquestelle è chirurgico nel chiudere tutte le porte aperte dall’interlocuzione con il Partito Democratico che ha consentito a Mattarella di conferire a Giuseppe Conte l’incarico per la formazione di un nuovo governo. “Abbiamo rivolto auguri a Conte che come M5S abbiamo sempre considerato super partes e che abbiamo fortemente voluto”. Quindi, Conte non va considerato un premier espressione del M5S. “Siamo stati al governo 14 mesi, poi qualcuno ha deciso di far cadere tutto sprecando un’occasione storica”. Quindi non solo non c’è discontinuità, ma neanche la volontà di voltare pagina rispetto all’esperienza giallo-verde. “O siamo d’accordo a realizzare i punti del nostro programma o non si va avanti. Non guardiamo a un governo solo per vivacchiare, consideriamo alcuni dei punti del documento imprescindibili”. Quindi, non un programma condiviso ma “il nostro governo”. Per il taglio dei parlamentari “mancano 2 ore di lavoro parlamentare e diventa legge, va approvato nel primo calendario della Camera e diventa legge”. Quindi, il taglio dei parlamentari subito e non all’interno di una riforma condivisa. “Riteniamo che non abbia alcun senso parlare di modifiche ai decreti sicurezza. Vanno tenute in considerazioni le osservazioni del capo dello Stato ma senza modificare la ratio di quei provvedimenti. Ho detto che non rinneghiamo questi 14 mesi di governo”. Ancora, quindi, continuità e non discontinuità. “Se entreranno i nostri punti nel programma di governo si potrà partire altrimenti meglio il voto”. Quindi, il governo M5s-Pd torna un’ipotesi, neanche troppo probabile.

In questi termini, anche prescindendo dalle fisiologiche reazioni della controparte Pd, non si può che parlare di un passaggio che rischia di sabotare ogni possibilità di accordo. Questo, a chiusura delle consultazioni di un premier incaricato, indicato dallo stesso partito che guida Di Maio, che sta lavorando per sciogliere la riserva con cui ha accettato l’incarico conferito dal Capo dello Stato. “Un discorso duro di Di Maio? Non l’ho sentito proprio”, la prima reazione a caldo dello stesso Conte. Che a questo punto dovrà spendersi per disinnescare il ‘fuoco amico’.

La posizione assunta dal leader Cinquestelle apre infatti anche un problema di natura istituzionale. L’interferenza nel lavoro svolto dal premier incaricato non può essere sottovalutata al Quirinale, dove la crisi è stata gestita finora con attenzione scrupolosa alla Costituzione e il pieno rispetto delle prerogative dei gruppi parlamentari. Ascoltare oggi le parole di Di Maio, dopo quelle di appena due giorni fa alla Vetrata, non può che alimentare dubbi concreti, anche al Colle, sulla credibilità di uno degli interlocutori essenziali per arrivare alla creazione di un governo solido.

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