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Cdp ha messo le imprese al centro del nuovo piano industriale, puntando su innovazione, crescita e internazionalizzazione. Dalle nuove sedi al ruolo di Sace e Simest, dal Fondo per l’innovazione ai ‘Basket bond’ e gli altri prodotti innovativi. Di Fabio Insenga.

Invocare l’intervento di Cdp è, da qualche anno, una sorta di rito propiziatorio. Non c’è stata una partita finanziaria delicata, o una crisi industriale, che non abbia visto il coinvolgimento, reale o presunto, del ‘braccio armato del Tesoro’. I detrattori hanno cercato di creare allarme per ‘il ritorno della vecchia Iri’; i governi che si sono succeduti hanno tentato di orientarne l’azione fino all’eccesso; le Fondazioni azioniste hanno sempre invocato il rispetto dello Statuto per evitare ‘avventure’ in aziende decotte. Non sono mancati contrasti, anche duri, fra la politica e i diversi management. Ma questa è storia. La realtà di Cassa depositi e prestiti, oggi, è il nuovo piano industriale 2019-2021 che segnerà l’era dell’amministratore delegato Fabrizio Palermo e del presidente Massimo Tononi. Senza dimenticare le partecipazioni strategiche, a partire da Tim, e il ruolo di garanzia che ha assunto anche nella delicata partita delle nomine, alla Cassa sono affidate soprattutto le chance di rilancio del tessuto produttivo, messo alla prova dai noti ritardi strutturali, da una nuova brusca frenata dell’economia e dalle fibrillazioni sui mercati.

Le imprese sono il core business di Cassa Depositi e Prestiti e Palermo ha scelto di metterle al centro di un progetto complessivo che si tiene su tre pilastri: innovazione, crescita e internazionalizzazione. Entrare nel nuovo Piano industriale vuol dire innanzitutto comprendere il cambio di passo che c’è nella strategia di fondo: si passa da una logica di prodotto a una logica di cliente e da un approccio reattivo a uno proattivo. Non si tratta solo di buoni propositi. L’idea, che è tanto semplice quanto ambiziosa, è quella di capire quali sono i reali fabbisogni e offrire prodotti ad hoc per le diverse dimensioni di impresa. La chiave individuata è il rapporto con il credito. Le piccole hanno difficoltà di accesso, le medie ottengono credito ma hanno bisogno di renderlo stabile nel tempo, le grandi vanno sostenute lì dove il rischio è troppo alto perché ad assumerlo sia solo il sistema bancario. Ma non ci sono né le condizioni né la volontà di sostituirsi agli istituti di credito: si vuole lavorare in stretta sinergia e complementarietà con le banche attraverso finanziamenti, garanzie ed equity. Del resto, attrarre investimenti, magari anche dall’estero nonostante i dati in questo senso stiano sensibilmente peggiorando, e andare a conquistare nuovi mercati sono le direttrici, insieme all’innovazione, su cui si giocano le possibilità di crescita delle imprese italiane. “Ci rivolgiamo per la prima volta a tutte le imprese, dalle grandi alle piccole. Cdp ha sempre finanziato grandi realtà, ora con il nuovo Piano industriale stiamo creando un’offerta integrata e capillare, grazie alla quale attraverso le banche saremo in grado di offrire un supporto concreto anche alle numerose pmi di cui si compongono le reti di fornitori, che sono a loro volta un volano per le grandi aziende”, spiega Palermo. Il tema della dimensione è tenuto in grande considerazione in via Goito. Devono crescere le piccole e devono essere valorizzati i ‘gioiellini’ del mid corporate, quelle imprese che sono vere e proprie ‘multinazionali tascabili’ come vengono spesso definite. Allo stesso modo, resta fondamentale investire in innovazione. Perché tutti i dati indicano che il sistema nel suo complesso ha investito meno, finora, rispetto ai suoi competitor. La soluzione? Avere più capitale a disposizione e fare più sistema. Significativa, in questo senso, la decisione di costituire un unico Fondo per l’innovazione da un miliardo per il venture capital, in cui confluiscono le risorse di Invitalia e che per metà sarà alimentato con risorse proprie della Cassa, e gestito dalla stessa Cdp. “Crediamo che sia necessario creare il contesto per la nascita di nuove aziende – evidenzia Palermo – e con il nuovo Piano industriale porteremo il venture capital sul territorio, facendo leva su filiere industriali, università e incubatori di startup. Il nostro obiettivo è generare un volano per l’innovazione, un elemento cruciale per spingere crescita e sviluppo in Italia”. A valle di questa analisi di scenario, ci sono le azioni concrete che Cdp sta mettendo in campo in questi mesi: l’ampliamento della presenza territoriale, da una parte, la gamma di prodotti che vengono offerti, dall’altra. Un’operazione che coinvolge tutto il Gruppo e che comporta anche un aggiornamento dei target e delle scelte strategiche di Sace e Simest.

Uno dei temi principali è il sostegno alle pmi, le imprese con un fatturato compreso tra un milione e 50 milioni di euro. Il punto di partenza è la difficoltà di accedere ai prestiti necessari per crescere. Anche perché il fattore dimensionale resta in primo piano. Semplificando, con uno slogan che richiama suggestioni inverse del passato, ‘piccolo non è più sempre bello’. Anzi, spesso il ‘troppo piccolo’ diventa un ostacolo. In questa fase, le piccole imprese stanno beneficiando di una disponibilità di finanziamento inferiore al passato e, soprattutto, inferiore alle loro necessità. Una delle soluzioni individuate è quella di rafforzare il sistema delle garanzie. E se sono già attivi tavoli operativi con le principali banche, stanno per essere annunciati protocolli di intesa con diverse associazioni territoriali e con i principali Confidi italiani. L’altra strada che si sta percorrendo è quella dei prodotti finanziari alternativi al tradizionale fido bancario, a partire dai mini bond. L’Italia, del resto, è il Paese con la più alta incidenza del finanziamento bancario e per favorire una progressiva ‘debancarizzazione’, nel periodo 2012-2014, sono state emanati provvedimenti che consentono anche alle aziende più piccole di emettere obbligazioni e anche a soggetti non bancari di fare credito alle imprese. Il problema è la dimensione delle emissioni, che è stata finora spesso troppo piccola e quindi poco attraente. La soluzione individuata da Cdp sono i ‘basket bond’, emissioni da 50 a 200 mln che si raggiungono facendo emettere ad un certo numero di imprese lo stesso mini bond, rendendo il prodotto più attrattivo. Nei prossimi 12 mesi sono attese tra le cinque e le dieci emissioni e presto sarà lanciato un programma con focus sui progetti di internazionalizzazione. Proprio ai mercati esteri e alle pmi è rivolta la piattaforma Saceeducation to export’ che, attraverso la formazione, punta a stimolare la crescita esterna. Il nuovo piano di Sace, da poco approvato dal Cda, pone l’obiettivo di ri-orientare la strategia verso il sostegno alle piccole e medie imprese, poiché buona parte delle garanzie concesse riguarda ancora le grandi commesse. Per le imprese mid corporate, quelle con un fatturato compreso fra 50 e 500 mln, non c’è un problema di accesso al credito ma di stabilità e di durata del finanziamento. E su questo fronte, in tema di internazionalizzazione, in capo c’è Simest. Con finanziamenti a tasso agevolato per gli investimenti sui mercati esteri e con il quasi equity per le aziende italiane che investono in società di diritto straniero. A questa tipologia di impresa il Gruppo Cdp si rivolge anche rafforzando le coperture dirette, facendo leva anche sul potenziamento della struttura di Sace attraverso l’apertura di sedi territoriali diverse da quelle attuali: saranno più grandi e visibili e presenteranno tutto il mondo Cdp. “Siamo l’unico soggetto in grado di combinare il patrimonio finanziario del risparmio postale e il patrimonio manifatturiero, due risorse di grande valore per il nostro Paese. Il nostro obiettivo è coniugare al meglio questi due elementi che fanno parte del nostro dna, per supportare le aziende, la pubblica amministrazione e lo sviluppo infrastrutturale del Paese. Per questo andremo sempre di più dove le imprese vivono, producono, vendono. Il tutto in complementarietà con il sistema bancario”, sintetizza Palermo. A maggio aprirà la sede di Verona, nei mesi successivi quella di Genova e poi Napoli.

Infine, le grandi imprese. Non hanno in genere né problemi di accesso né di durata del credito, avendo una buona capacità negoziale con il sistema bancario. Ma hanno la necessità di essere supportate in operazioni particolari o in contesti particolari, come i Paesi a rischio. Ovvero, nei casi in cui il sistema finanziario fatica ad assumere la totalità dei rischi, può intervenire Sace e fare la differenza.

Articolo di Fabio Insenga apparso sul numero di Fortune Italia di aprile 2019.

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