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Bankitalia: il nuovo direttore generale è Daniele Franco

di Massimo Ricci – Daniele Franco è stato designato a ricoprire la carica di direttore generale di Bankitalia. La nomina dovrà essere approvata con decreto del Presidente della Repubblica, promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con il Ministro dell’Economia e delle finanze e sentito il Consiglio dei ministri, ma le posizioni di Conte e Gualtieri dovrebbero garantire la continuità voluta e difesa ad oltranza da Bankitalia.

 

Il fortino di Palazzo Koch sembra quindi aver resistito ancora una volta agli attacchi della politica dopo decenni di indipendenza conquistata e seguita agli attacchi di fine anni Settanta. Autonomia più volte minacciata dalla politica ma sempre mantenuta, talvolta con qualche concessione solo marginale anche dopo la rivoluzione determinata dall’esito delle vicende legate all’ultimo periodo di Governatorato di Antonio Fazio, nel 2005, e all’arrivo ancora più dirompente in termini di cambiamenti su vigilanza e approccio al mercato operato da Mario Draghi, arrivato nel 2006 dopo gli scandali dei furbetti del quartierino.

 

La decisione del Consiglio di sorveglianza dell’istituto di Via Nazionale completa il gioco a dama delle nomine dopo l’arrivo di Fabio Panetta nel Consiglio Direttivo della Banca centrale europea. Casella lasciata libera a seguito dell’addio di Mario Draghi alla presidenza dell’Eurotower. Al momento Daniele Franco era appena tornato nella banca centrale italiana dopo la sua esperienza alla ragioneria generale dello Stato, nominato dal Governo Letta e mantenuto sotto gli esecutivi Renzi e Conte Uno. Durante il governo giallo-verde era però finito nel mirino di M5s e Lega, come spesso accade per il ruolo di guardiano dei conti e per l’impegno che il Ragioniere dello Stato deve garantire sulle coperture delle norme come previsto dalla Costituzione.

 

La difesa di Bankitalia assume particolare valore oggi perché arriva nei nuovi giorni di polemica e di attacchi tumultuosi che seguono l’ennesimo crac bancario, stavolta quello della Popolare di Bari, come negli anni passati fu per la crisi di Mps, per il crac delle banche venete o ancor prima durante la risoluzione delle quattro banche (Etruria, Marche, CariFerrara e CariChieti). Dopo l’emersione delle irregolarità nella popolare pugliese una nuova ondata di critiche inizia infatti ad essere rivolta alla Vigilanza di Via Nazionale fino a toccare il vertice stesso dell’Istituto. Anche il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha affermato ieri che sarà valutata l’azione della banca centrale avendo chiesto conto di tutti i passaggi.

 

Nei giorni precedenti in molti avevano ipotizzato ripercussioni sui vertici se non addirittura sul destino del Governatore stesso, tanto da mettere in dubbio la possibilità di mettere in atto le nomine assunte oggi (nel direttorio come vice direttore generale arriva Piero Cipollone per molti anni al servizio studi dell’istituto). Ma evidentemente se ogni crac bancario inevitabilmente mette a nudo una debolezza generale del sistema bancario, comunque la si voglia vedere, nonostante le reiterate e consuetudinarie dichiarazioni di solidità del sistema da parte dei suoi custodi, dall’Abi a Bankitalia, la debolezza e la frammentarietà della politica in questi giorni appare ancora di più incapace di tentare un affondo.

 

Una prova nel solco di questa tradizione di continuità e di scelte interne all’istituto, a dispetto degli anatemi lanciati da alcuni settori della politica (il M5S non ha mai nascosto riserve sull’operato dei vertici di Bankitalia ma anche il Centrodestra e Renzi, cambiando spesso posizione) Via Nazionale l’aveva data con la conferma dello stesso Governatore, Ignazio Visco due anni fa. Nonostante le crisi bancarie o come fu al momento della successione di Draghi nel 2011, quando l’anomalia fu solo il sacrificio dell’allora ‘delfino’ Fabrizio Saccomanni come molti anni prima era accaduto con Antonio Fazio, arrivato alla scrivania più importante di Palazzo Koch, sotto l’effige di San Sebastiano, beneficiando dei veti incrociati che bloccarono le prime file, quelle occupate da Lamberto Dini e Tommaso Padoa Schioppa. Dal divorzio Bankitalia-Tesoro nel 1981 e la successiva ‘lite delle Comari’ le occasioni di scontro tra autonomia e tentativi di irruzione politica non sono mancate e presumibilmente non mancheranno.

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