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Whirlpool, non c’è politica industriale

Whirlpool ha indicato il termine del 31 marzo per lo stop della produzione del sito di Napoli. Per poi concedere più tempo e fissare la data ultima al 31 ottobre. Il copione, più o meno, è sempre lo stesso. Le vertenze si trascinano, i problemi non si affrontano e quando la multinazionale di turno decide di chiudere uno stabilimento italiano arriva la replica, anche questa ormai standard: “è inaccettabile”. Le parole del ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, sono ovviamente condivisibili. Ma sono le stesse che ha pronunciato qualche mese fa il suo predecessore Luigi Di Maio, di fronte alla prima comunicazione dell’azienda. Servono a giustificare un’impotenza che sta diventando altrettanto ‘inaccettabile’.

Un Paese che non è in grado di fare una politica industriale, di proporre soluzioni sostenibili a problemi ormai cronici, come le conseguenze della ‘sovrapproduzione’, non è in grado di tenere il rapporto con le multinazionali su un terreno corretto. La dialettica non può seguire sempre lo stesso percorso: annuncio di una chiusura, scontro, trattativa per comprare altro tempo. Così si passa solo da un’emergenza all’altra. Senza una prospettiva.

C’è una questione industriale che prende di volta in volta le sembianze di una vertenza – da Embraco a Whirlpool, passando per il complicato dossier Ilva, con il braccio di ferro in corso con il colosso dell’acciao ArcelorMittal – con una approssimazione che rimette sempre in primo piano le responsabilità della politica. Con il tira e molla sugli incentivi, sullo scudo penale, sulle agevolazioni per l’utilizzo dell’energia, sulla tassazione diventa difficile pretendere il rispetto degli accordi presi.

Al contrario, la certezza delle regole, la trasparenza nelle relazioni, la capacità di pianificare politiche serie di rilancio industriale fornirebbero al governo tutti gli strumenti per opporsi, anche con durezza, ai comportamenti scorretti di multinazionali pronte a mettere da parte qualsiasi scrupolo pur di salvaguardare il proprio profitto. Con una politica industriale coerente, dire “è inaccettabile” avrebbe un peso diverso.

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