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Ecco come trattenere i dipendenti migliori. O come lasciarli andare

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Al convegno di Lisbona di NTT Data, una guida per grandi aziende su come ‘curare’ i talenti.

Articolo di Alessandro Pulcini apparso sul numero di Fortune Italia di ottobre 2019.

Il mondo del lavoro è pieno di talento, ovviamente sempre più digitale e legato alla tecnologia. Un talento che però spesso decide di abbandonare la propria posizione, anche ben retribuita, per cercare fortuna altrove. E la maggior parte delle aziende non sa spiegarsi perché.

Parliamo di corporation gigantesche, nate spesso nella cultura della Silicon Valley, quella che difficilmente ha problemi a ricoprire e circondare di soldi, benefit, tavoli da ping pong e videogiochi i propri impiegati. Ma allora perché devono continuamente assumerne di nuovi, per sostituire quelli che se ne vanno? E che competenze devono avere, in ogni caso? In che tipo di ambiente devono lavorare?

Se lo è chiesto NTT Data, multinazionale giapponese dell’information technology che nel convegno Captaining the talent, a Lisbona, ha messo di fronte Ceo, dirigenti d’azienda, imprenditori, esperti di risorse umane, sportivi e artisti. Una prospettiva tutta tecnologica per una giornata di confronto sul mondo del lavoro presente e futuro. Per quanto la platea fosse composta prevalentemente da clienti dell’azienda, la discussione non è stata imperniata sulla celebrazione delle capacità di NTT Data, va detto. Ma sentir parlare l’Head of disruption dell’azienda, Mark Alba, fa comunque capire a che tipo di impresa bisogna guardare quando si cerca di prevedere il futuro. Il che non vuol dire, necessariamente o esclusivamente, cercare di sapere quale sarà la prossima grande ‘invenzione’, ma capire come ci adatteremo, nel lavoro, a qualsiasi innovazione tecnologica ci aspetti. Mark Alba, che è anche vicepresidente della multinazionale, la sua previsione ce l’ha: arriveremo alla phygital workforce, ovvero un’evoluzione ulteriore dell’unione tra strumenti digitali e lavoro tradizionalmente concepito. Un mondo lavorativo sempre più “on demand”, dice Alba, che potrà ottenere i vantaggi dei progressi tecnologici (dalle industrie autonome alle realtà aumentata a processi completamente data-driven) solo poggiandosi sulle abilità umane.

Ragionando nei confini del reame delle possibilità, è d’obbligo chiarire che qualsiasi trasformazione ci aspetti, da una più radicale a una più moderata (in cui anche i bot più innovativi servono solo a “integrare il lavoro umano”, invece che a “sostituirlo”) saranno sempre possibili utilizzi negativi delle nuove tecnologie. “Il punto è capire come usare questa relazione tra umani e macchine per far del bene”, spiega Alba, mentre dal mega schermo alle sue spalle gli occhi dell’automa di Terminator fissano il pubblico. Il settore NTT disruption capitanato da Alba è quello dedicato ad impegnare tempo e risorse non solo nell’immaginare il futuro, ma anche nel creare progetti futuristici (o quantomeno originali) che abbiano un impatto utile. L’evento di Lisbona, ad esempio: ospiti internazionali – l’imprenditrice dei profumi Jo Malone, il neuroscienziato Mariano Sigman, l’ex capitano degli All Blacks Sean Fitzpatrick, la Cultural innovator Adah Parris – riuniti in un hotel a cinque stelle nello storico Palacio de Anunciada; una scenografia composta da un megaschermo a pannelli e da un molo luminoso posto tra lo speaker di turno e il pubblico, a simboleggiare un porto sicuro, per le aziende, nello sconfinato mare del ‘talent’. Un tema acquatico rinforzato (o infiocchettato) dalla crociera in barca a vela offerta a tutti gli astanti sul fiume Tago, che attraversa la Capitale portoghese, dopo la fine della sessione al chiuso. È Steve Cadigan, fondatore di Cadigan talent ventures, ad aprire i lavori: al di là dei titoli e delle sue esperienze lavorative (che lo hanno portato ad essere una delle autorità della Silicon Valley in materia di risorse umane) Cadigan a Lisbona ha portato, soprattutto, numeri. “Quello che sta succedendo oggi non ha precedenti – ha detto dal palco – C’è un meraviglioso panorama di opportunità per i professionisti: il talento oggi ha molti più modi per guadagnare soldi”. Eppure, secondo la società americana di analisi e consulenza Gallup, “la forza lavoro è scontenta: il 16% delle persone non vogliono restare nella propria azienda. Il 53% non si sente coinvolto”. Un dato sorprendente perché “nell’era delle informazioni dovremmo essere in grado di fare scelte giuste, di selezionare l’azienda o la persona più adatta alle nostre esigenze”. Un altro numero, dal Boureau of labor statistics americano: “gli ultra 50enni stanno in azienda, mediamente, 10 anni. Dai 25 ai 35 anni si resta nello stesso posto, in media, 2,8 anni. Succede in tutto il mondo”.

Qual è il motivo? “Ecco cosa vedono i dipendenti: unicorni e startup che spuntano dal nulla e assumono mentre giganti come General Electric perdono 800 mld dollari di market cap. Il dipendente osserva che anche i grandi non sono al sicuro. ‘Dove dovrei andare a lavorare?’, si chiede. Le aziende non durano quanto prima. Se qualcuno oggi ti dice che lavorerai per 20 anni nello stesso posto, non gli credi, perché il futuro è incerto sia per le aziende che per i dipendenti”. In conclusione, quello che devono fare le aziende è accettare la realtà: il talento oggi è interessato ai singoli progetti, al miglioramento di sé stesso, alle novità del mondo dell’imprenditoria che arrivano ad avere centinaia di dipendenti nel giro di un anno (come nel caso di Bird o Lyme, dice Cadigan indicando il monopattino sistemato accanto a lui dall’inizio dello speech). Questa realtà però può essere accompagnata.

Per un dipendente può essere pianificato un nuovo progetto prima ancora che finisca il precedente. O si può fare come Spotify, che ruota le mansioni dei dipendenti ogni due anni. O come Dropbox, dove ci si è inventati il ‘parents at work day’: genitori invitati negli uffici per conoscere meglio il lavoro dei figli, apprezzarne benefit, ambiente e stipendio, e persuadere i figli stessi a non rinunciarci. Ora Dropbox ha dimezzato il numero di abbandoni. Quando ha lavorato con Salesforce in Messico, Cadigan ha notato come il retailer abbia abbandonato così tanto il modello della timbratura del cartellino da non avere sedi proprie: lavora solo con gli uffici condivisi di Wework. Siemens invece propone ai dipendenti corsi di aggiornamento su qualsiasi materia, anche di fronte all’inquietante realtà (per le aziende come per i dipendenti) di non sapere ancora bene quali saranno, in futuro, le skill più utili; abilità che tra l’altro, dice Cadigan, ormai vengono superate dall’innovazione tecnologica ogni 5 anni, se va bene. Lo slogan migliore per il mondo delle risorse umane del futuro, secondo Cadigan, è “vieni a lavorare per questa azienda, e io ti aiuterò a lasciarla”. Ovvero, “ti renderò migliore”. Non bisogna più offrire solo un impiego ma le capacità per averlo anche in futuro: “employability is the new job security”, conclude Cadigan.

 

Cosa resta in mano all’azienda, allora? È proprio NTT Data a fornire una possibile risposta, riassunta nell’espressione “retaining talent”. Trattenere il talento, dice Simon Williams, Ceo dell’azienda nel Regno Unito, non significa solo “cercare di trattenere da noi le persone che abbiamo. Ma anche di assicurarci di restare sempre in buoni rapporti”.

“Con i dipendenti ci sono i contratti, è vero. Ma una buona ‘relationship’ è anche più importante”, ci spiega il dirigente a margine dell’evento. Per trattenere il personale ci sono vari strumenti. “Abbiamo cominciato a proporre promozioni due volte l’anno, oltre a investire sulla crescita delle competenze personali. Ma i contratti, e le persone, vanno e vengono: potrebbero voler andare in una startup, o da un nostro cliente”. In quest’ultimo caso il risvolto positivo è evidente, spiega Williams: un ex impiegato felice può significare avere anche un cliente felice. “Quello che è importante è che capiscano che possono andare, ma possono anche tornare. Parliamo di impiegati ‘boomerang’, ne abbiamo diversi: persone che lasciano l’azienda, ma la lasciano felice. E sono sempre i benvenuti, quando vogliono fare ritorno”.

 

Articolo di Alessandro Pulcini apparso sul numero di Fortune Italia di ottobre 2019.

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