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Dal coronavirus ai dazi: i rischi globali del 2020

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Dalle tensioni commerciali tra Stati Uniti, Cina ed Europa, al nodo persistente dell’indebitamento globale alla delicata gestione del post-Brexit, senza dimenticare il coronavirus, che ora coinvolge direttamente l’Italia: è Sace Simest a illustrare i maggiori pericoli economici globali per l’anno appena iniziato. L’analisi, alla 14esima edizione, è contenuta nella Mappa dei Rischi 2020, un ‘Focus On’ dal titolo ‘Come navigare in un mare d’insidie’ sui profili di rischio di 200 mercati esteri e completo di mappamondo interattivo.

Le criticità economico-finanziarie e politico-sociali individuate sono più o meno quelle che avevano caratterizzato il panorama internazionale nell’anno appena concluso. Tali fattori, insieme alla debolezza del ciclo economico di diversi Paesi avanzati, rallentano l’attività economica globale – che ha messo a segno il ritmo di crescita più basso dell’ultimo decennio – e soprattutto il commercio internazionale. Tra i principali temi caldi affrontati nel Focus On: dazi, Brexit e il persistente indebitamento globale. Oltre all’attuale questione del coronavirus che vede direttamente coinvolta anche l’Italia.

I rischi globali: il coronavirus

Lo scoppio dell’epidemia pone preoccupazioni sulla crescita dell’economia globale nel 2020, dice il report. Avrà un impatto sulla crescita in Cina, almeno nel breve termine. L’ipotesi su cui lavorano gli analisti (come ha fatto Strategy Analytics, ad esempio) è quella che l’emergenza rientri in tempi rapidi: è considerato lo scenario più probabile. In questo caso, nella seconda metà dell’anno le imprese cinesi dovrebbero compensare, almeno parzialmente, la produzione persa a inizio 2020, anche grazie agli strumenti volti a sostenere l’economia messi in campo dal Governo di Pechino.

A ogni modo, pur con un rimbalzo nei mesi a venire, occorrerà del tempo prima che le “perdite” accumulate nella fase di avvio dell’anno siano recuperate. Le attese per il Paese asiatico sono di un aumento del Pil del 5,4% nel 2020, ben 0,6 punti percentuali in meno rispetto alle stime di inizio anno, secondo Oxford Economics. L’epidemia coronavirus avrà impatti anche a livello settoriale. I comparti più esposti sono quello del lusso, i metalli e l’oil che risentiranno del calo dell’import di Pechino. I consumatori cinesi rappresentano infatti il 35% della domanda mondiale di beni del lusso; in più, il Paese del Dragone è primo a livello mondiale per importazioni di petrolio. Altri settori, quali l’elettronica, le apparecchiature elettriche, il tessile e l’automotive, accumunati dal metodo di approvvigionamento (just-in-time) potranno andare incontro a interruzioni delle attività a causa della carenza di componenti in arrivo dalla Cina. Infine, sono attesi effetti negativi sul settore del turismo, specie nei Paesi che attirano significativi afflussi di visitatori cinesi.

La propagazione del virus in Italia, secondo Sace Simest, rappresenta oggi una nuova grande incognita: l’evoluzione dei fatti è sotto stretto monitoraggio e impone la massima attenzione e cautela.

 

I rischi globali: i dazi

Le elezioni presidenziali statunitensi del 2020 potrebbero spingere l’amministrazione Trump a mosse a sorpresa, anche in chiave protezionistica, secondo il report. Per ora, la conferma della tregua tra Usa e Cina è simboleggiata dall’accordo siglato tra le parti il 15 gennaio scorso. Un passo in avanti che però, da un lato non risolve i temi più spinosi rimandandoli a colloqui futuri, dall’altro non è soddisfacente in termini di riduzione dei dazi statunitensi verso la Cina (ancora, in media, del 19% circa). Peraltro, l’accordo fissa obiettivi non facilmente raggiungibili – ancor di più alla luce dello scoppio dell’epidemia coronavirus – soprattutto con riguardo agli acquisti di prodotti statunitensi da parte di Pechino. Il Paese del Dragone è stato il principale, ma non l’unico, obiettivo della politica protezionistica americana. A farne le spese è stata anche l’Unione Europea a seguito del verdetto emesso dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) nell’ottobre scorso relativo al dossier Airbus-Boeing, che ha dato il via libera a 7,5 miliardi di dollari di dazi americani nei confronti dei Paesi europei. E anche l’Italia è stata colpita. Le misure hanno interessato esclusivamente beni dell’agro-alimentare che nel 2018 hanno generato circa 400 milioni di euro di vendite negli Usa. Tra questi vi sono formaggi, frutta e conserve, liquori, salumi e insaccati; sono esclusi invece, vino e olio d’oliva che pesano il 62% delle nostre esportazioni alimentari verso Washington. La revisione trimestrale della lista dei beni soggetti ai dazi autorizzati dall’OMC effettuata dagli Stati Uniti il 14 febbraio scorso non ha prodotto, in sostanza, alcuna modifica sui beni Made in Italy.

I rischi globali: Brexit

A Londra, invece, la Brexit è realtà, ma nei prossimi mesi il Regno Unito dovrà trovare un accordo, non facile, con l’UE per regolare le future relazioni commerciali. Dopo la vittoria alle urne di dicembre, il governo guidato da Boris Johnson ha mantenuto la sua promessa elettorale: “Get Brexit Done“. L’accordo rinegoziato con l’UE dal primo ministro inglese nei mesi scorsi ha mitigato in parte le diffidenze che riguardavano il backstop, uno dei principali elementi di discussione, portando il Paese all’uscita dal blocco europeo il 31 gennaio scorso. Il Regno Unito è ora nella fase di transizione – ossia continua a seguire le norme e i regolamenti dell’UE e a contribuire al suo bilancio – che è prevista terminare a fine 2020. Tale termine potrà essere prorogato di uno o due anni entro il 30 giugno 2020, stessa data in cui le parti dovranno aver concluso le trattative per l’intesa commerciale.

I rischi globali: l’indebitamento

Ha raggiunto i 253 mila miliardi di dollari nel terzo trimestre del 2019 (+3,6% rispetto alla fine del 2018), con un peso pari al 322,4% del Pil mondiale. Il debito detenuto dalle economie emergenti è inferiore a un terzo del totale ma nell’ultimo decennio si è registrata una forte espansione (+147%), accompagnata da un contestuale significativo aumento del peso sul Pil. In questo scenario, il Pil mondiale è atteso avanzare nel 2020 al 2,3%, un ritmo inferiore rispetto allo scorso anno. Importanti economie, sia avanzate (Francia, Germania, Giappone, Stati Uniti), sia emergenti (Cina), sono infatti previste in rallentamento. E come mostra il grafico elaborato da SACE SIMEST si tratta di economie verso le quali è diretta la maggior parte dei prodotti Made in Italy. Alcuni segnali positivi giungono invece da economie in ripresa (tra le altre, Arabia Saudita, Brasile e Russia) e in espansione (Colombia, Filippine e Marocco).

I criteri

La riproduzione dei rischi utilizzata da Sace Simest utilizza il livello di rischio del credito – ossia il rischio di incorrere in un mancato pagamento – per le imprese italiane che operano all’estero. A ciascun paese è associato un punteggio da 0 a 100 (0 è il rischio minimo). Dei 199 Paesi analizzati, si legge nella Mappa dei Rischi, in 67 diminuisce il livello di rischio, con l’Europa emergente e CSI che registra progressi piuttosto diffusi (migliora circa la metà delle geografie dell’area) e l’Asia che osserva, in media, la riduzione più significativa del punteggio (con un calo medio di quasi 5 punti). A seguire, sono 89 i Paesi stabili e 43 quelli in peggioramento. Questi ultimi riguardano soprattutto Medio Oriente, Nord Africa e America Latina, dove il rischio di credito aumenta in circa un terzo delle geografie delle rispettive aree.

Per cogliere la complessità dei rischi in cui le imprese internazionalizzate possono incorrere, SACE SIMEST elabora anche indicatori di “rischio politico”. Questi ultimi si muovono nello stesso intervallo dei rischi del credito (da 0 a 100) e sono prevedono il rischio di guerra e di disordini civili (o violenza politica), l’esproprio e violazioni contrattuali, le restrizioni al trasferimento e alla convertibilità valutari. Dei 199 Paesi analizzati, 53 migliorano – con l’Asia che vede migliorare circa il 50% delle geografie dell’area – 71 sono stabili e 75 in peggioramento. E di nuovo, in Medio Oriente, Nord Africa e America Latina si registrano le criticità maggiori con un aumento dei rischi politici in più della metà dei Paesi delle rispettive aree.

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