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Coronavirus, le 10 parole dell’epidemia

L’emergenza Coronavirus sta cambiando anche il senso, e il peso, delle parole. Eccone dieci che sono diventate ricorrenti nel nostro vocabolario quotidiano. Tanto da meritare un glossario.

Covid-19: è diventata una sigla conosciuta in tutto il Mondo. Per tutti lo stesso significato: la peggiore pandemia dell’Era contemporanea.

Terapia intensiva: eravamo abituati a considerarlo ‘solo’ il luogo di frontiera dove si lotta tra la vita e la morte. Ora ci siamo entrati con le telecamere e abbiamo registrato immagini che non dimenticheremo più.

Contagio: finora lo avevamo temuto per l’influenza o, al massimo, per la varicella. Oggi, è associato alla paura, alla sofferenza e, in troppi casi, alla morte.

Positivo: l’abbiamo usato per descrivere un bilancio, un approccio, uno stato d’animo. Ma anche per indicare il polo di un filo elettrico. Ha fatto esultare, o preoccupare, per un test di gravidanza. Per ritrovarlo nella veste drammatica di oggi bisogna tornare agli anni difficili dei test per l’HIV.

Quarantena: era legata ai quaranta giorni di isolamento che dovevano osservare gli equipaggi delle navi, nel IV secolo, per evitare la diffusione delle peste. Poi, in letteratura, al Decamerone e ai Promessi Sposi. Oggi, è una condizione vissuta da migliaia di italiani.

Mascherina: fuori dagli ospedali o dagli studi dentistici, la usavano solo alcuni operai e i Giapponesi, popolo previdente e ipocondriaco. Oggi non ne possiamo fare a meno, è lo strumento indispensabile per proteggerci e per proteggere gli altri dal contagio.

Sanificazione: il termine resta brutto ma diventa rassicurante. L’operazione che viene fatta per spazzare via il virus, che potrebbe essere rimasto su qualsiasi superficie, aiuta a liberare strade e ambienti di lavoro anche dalla paura.

Autocertificazione: è stata la rivoluzione introdotta per snellire la massa di adempimenti burocratici nella partita per la semplificazione della Pubblica amministrazione. Oggi, ne stiamo stampando ogni due giorni una versione diversa per giustificare i nostri spostamenti indispensabili.

Supermercato: è sempre lo stesso, quello che da sempre frequentiamo per fare la spesa. Ma è diventata la meta più ambita, l’unica consentita per uscire dalla clausura. Le file ordinate, all’esterno, e gli spazi larghi, all’interno. In una nuova dimensione che difficilmente scorderemo.

Runner: è sempre stata la persona che corre. Jogging o footing, nei parchi e nelle strade, soprattutto nel weekend. È diventato uno status da difendere, o da insultare. Dipende dal punto di vista. E anche dal buon senso di chi va a correre e lo fa dentro o fuori dalle norme di sicurezza.

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