Riaprire tutto. Con date precise indicate per le scuole, il 4 maggio, e per le fabbriche, prima di Pasqua. Il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, in un’intervista ad Avvenire, esce allo scoperto. Con una proposta choc, subito bocciata dalla comunità scientifica, ma ribadita anche nella sua e-news e in una diretta su Facebook: “Il vaccino arriverà tra due anni, se non ripartiamo ora moriremo di fame, non di Covid. Sono convinto che si debba lavorare in sicurezza, con la distanza sociale, con i guanti e le mascherine ma bisogna ripartire perché sennò l’Italia non riapre. Con il Covid dovremo convivere per lungo tempo e dovremo costruire un mondo in cui c’è una nuova normalità”.
La tesi di fondo è la stessa che spinge alcuni economisti e anche le Istituzioni, a partire dal Capo dello Stato Sergio Mattarella, a guardare da subito alla ricostruzione. Che l’obiettivo debba essere quello di creare le condizioni per ripartire il prima possibile è una premessa sostanzialmente condivisa. Che si possa dire oggi come e quando è invece un passo che appare non solo prematuro ma che può rivelarsi anche irresponsabile.
Perché Renzi ha scelto di farlo comunque? Entriamo nel terreno del calcolo politico. Evidentemente, intestarsi la campagna per la riapertura è considerato un passaggio utile a ritrovare un consenso ormai perso da tempo. Anche a costo delle critiche.
Ma c’è altro. Farlo indicando delle date, oltre ad alzare la qualità del messaggio sul piano della comunicazione, contribuisce a spostare il focus su un altro terreno ancora, quello del gioco d’azzardo. Nessuno può pensare che il governo possa assumersi la responsabilità, oggi, di indicare quelle date o anche solo di considerarle pubblicamente. È un esercizio teorico che rientra nell’antica arte del bluff.
Renzi, però, nella vita non fa il giocatore di poker. Ha una responsabilità politica e la giocata di oggi lo espone anche al rischio di compromettere un bene prezioso per un politico: la credibilità.
