Il punto di vista di Patrizio Bianchi, economista, cattedra Unesco su Educazione, crescita, uguaglianza all’Università di Ferrara. La versione completa di questo articolo, a firma di Morena Pivetti, è disponibile sul numero di Fortune Italia di aprile.
In quarantena per coronavirus, scuole chiuse, lavoro da casa, niente contatti sociali. L’Italia è stata la prima, dopo la Cina, ad andare in lockdown, seguita da Europa e Stati Uniti. La finanza vive giorni bui, le borse crollano, l’economia riduce i giri fin quasi allo stop. Il tempo rarefatto, lento, imposto dal virus è il tempo giusto per la riflessione, per chiedersi se il modello di globalizzazione dell’economia di questi ultimi vent’anni abbia funzionato, e per chi, se abbia prodotto lo sviluppo atteso, tenendo fede alle promesse. Le distorsioni che l’epidemia porta in luce, per esempio la Cina come gigantesca fabbrica del mondo e relative conseguenze, rendono non più rinviabile la riflessione.
Qual è il bilancio? Siamo un punto di rottura, alla fine di un’epoca? Nella gestione dell’economia e nelle nostre vite? Abbiamo girato questi interrogativi al professor Patrizio Bianchi, economista di fama, cattedra Unesco su Educazione, crescita, uguaglianza all’Università di Ferrara, presidente della Fondazione Big data e Artificial Intelligence per lo sviluppo umano della Regione Emilia Romagna, fino a qualche settimana fa assessore della stessa regione.
Alla fine del colloquio restano impresse queste parole: “È arrivato il tempo di tornare a porsi seriamente il tema del coordinamento sovranazionale delle politiche economiche da parte dei Governi. Basta chiusure unilaterali, ognuno vince a casa propria, ‘il mercato si autoregola’. Questo modello non funziona: i problemi c’erano anche prima, l’epidemia è la cartina tornasole che li ha messi in luce. La globalizzazione non gestita ha prodotto il minimo di crescita e il massimo di diseguaglianze, il contrario di quel che prometteva”.
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