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Prezzi più alti nei supermercati? Antitrust indaga

‘Siamo sempre stati accanto a voi’, recita il ritornello pubblicitario di un prodotto di una grande marca dell’alimentare. Ma forse non è stato proprio così per alcune catene di distribuzione, che quei prodotti li vendono, e che hanno presumibilmente approfittato della situazione provocata dall’epidemia per mettere un po’ d’inflazione nelle etichette sui loro scaffali. Il dubbio è venuto all’Antitrust che ha deciso di avviare un pre indagine per accertare se ci siano stati aumenti indebiti dei prezzi in alcune aree d’Italia peraltro non soggette alle restrizioni più dure, come le zone rosse, per la pandemia da Covid-19.

La richiesta di informazioni sull’andamento dei prezzi praticati per alcuni settori merceologici ha riguardato quasi tutta la grande distribuzione, con la sola esclusione fra le grandi catene italiane di Esselunga: Carrefour Italia, MD, Lidl, Eurospin, F.lli Arena. Ma anche alcune cooperative aderenti a Conad (Conad Sicilia, Conad Nord-Ovest, PAC 2000, Conad Adriatico, nonché Margherita Distribuzione), altre cooperative e franchising principali del gruppo Coop (Unicoop Firenze, Unicoop Tirreno, Coop Centro Italia, Coop Liguria, Novacoop, Coop Alleanza 3.0, Tatò Paride). Presi di mira anche diversi Centri di distribuzione aderenti a SISA, SIGMA e CRAI.

L’Autorità, si spiega in un comunicato, vuole “acquisire dati sull’andamento dei prezzi di vendita al dettaglio e dei prezzi di acquisto all’ingrosso di generi alimentari di prima necessità, detergenti, disinfettanti e guanti, al fine di individuare eventuali fenomeni di sfruttamento dell’emergenza sanitaria a base dell’aumento di tali prezzi”.

Le richieste di informazioni riguardano oltre 3800 punti vendita, soprattutto dell’Italia centrale e meridionale, pari a circa l’85% del totale censito da Nielsen nelle province interessate.

Dalle analisi preliminari svolte dall’Antitrust sui dati Istat, infatti, “sono emersi a marzo 2020, per i prodotti alimentari, aumenti dei prezzi rispetto a quelli correnti nei mesi precedenti differenziati a livello provinciale. I maggiori aumenti si riscontrano in aree non interessate da “zone rosse” o da misure rafforzate di contenimento della mobilità”.

Per questo motivo l’Autorità “ha ritenuto di non poter escludere che tali maggiori aumenti siano dovuti anche a fenomeni speculativi perché non tutti gli aumenti osservati appaiono immediatamente riconducibili a motivazioni di ordine strutturale” e provocati dagli obblighi della quarantena: come il maggior peso degli acquisti nei negozi di vicinato, la minore concorrenza tra punti vendita a causa delle limitazioni alla mobilità dei consumatori, le tensioni a livello di offerta causate dal forte aumento della domanda di alcuni beni durante il lockdown e dalle limitazioni alla produzione e ai trasporti indotte dalle misure di contenimento dell’epidemia.

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