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Velasca: “Per l’Italia il bello è un dovere morale”

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Stavano crescendo tanto ma si sono dovuti fermare. Come per tutto il resto del mondo o quasi, il mese di marzo è arrivato come una scure che ha bloccato idee, vendite, nuove aperture già programmate. Ma loro hanno utilizzato il lockdown per ridisegnare strategie e pensare a nuovi orizzonti. E sono ripartiti alla grande: “Già pensavamo a come fare per smaltire tutte quelle scarpe estive rimaste invendute. E invece le abbiamo quasi finite. A giugno 2020 abbiamo segnato lo stesso livello di fatturato del 2019 e non era scontato, in un settore estremamente in crisi” raccontano a Fortune Italia Enrico Casati, 32 anni, e Jacopo Sebastio, 38, entrambi di Milano, founder di Velasca, l’azienda che vende online le scarpe da uomo fatte a mano dagli artigiani marchigiani.

 

In effetti il comparto della moda, dall’alta gamma al fast fashion, è nel mezzo di una crisi economica e ‘di coscienza’. E se per una ex-startup come Velasca, “non crescere è un problema”, dati i tempi straordinariamente difficili, riuscire ad assestarsi sui livelli pre-Covid in realtà è un traguardo notevole.

 

Velasca nasce nell’agosto 2012, da un viaggio in Asia. Casati e Sebastio sono amici di famiglia, entrambi ex studenti del liceo Beccaria di Milano. Come spesso succede, da una esigenza pratica nasce l’idea aziendale: Enrico aveva bisogno di un paio di scarpe eleganti e di buona qualità, ad un prezzo ragionevole. I due maturano così l’idea di “rendere scalabile un modello che mettesse in connessione diretta chi vuole un prodotto artigianale in giro per il mondo con gli artigiani che lo fanno”, con una forte disintermediazione di tutta la filiera. Trascorrono mesi per cercare gli artigiani: “Siamo andati nelle Marche, all’inizio abbiamo provato tante strade perché non provenendo dal mondo della calzatura abbiamo dovuto provare percorsi diversi. Alla fine abbiamo incontrato artigiani che lavorano tutt’oggi con noi” spiegano i due founder. A marzo 2013 c’è già la società e il sito e-commerce è online. “Il primo ordine è stato di 125 mocassini con gommini. Nel tempo, abbiamo lavorato tanto sulla qualità e sui dettagli di design e abbiamo cercato anche di omogenizzare la produzione. I prodotti artigianali per definizione sono uno diverso dall’altro ma nel mercato dell’e-commerce ci deve anche essere una rappresentazione vera del prodotto”. Oggi, a intercettare gli artigiani c’è un team dedicato.

 

“Ora abbiamo una decina di famiglie artigiane che lavorano con noi, quindi circa 200 persone. Ma poi c’è tutto un idotto che viene generato perché gli artigiani non si occupano di tutte le fasi di lavorazione. Quindi le persone che in realtà gravitano intorno all’ecosistema Velasca sono 800 e 900 persone”. Con prospettive di crescita importanti: “Siamo sempre in esplorazione perché Velasca cresce molto e quando c’è una impennata di domanda si presenta un problema di approvvigionamento”. Velasca ha raccolto fino ad oggi 8,8 milioni di euro: “Sin da subito abbiamo aperto il nostro capitale sociale, in più round. Siamo partiti da 40 mila euro nostri, finiti subito per sito, magazzino e registrazione della società e del marchio. L’ultimo round che abbiamo chiuso risale a settembre 2019, 4 milioni e mezzo, guidato da P101 e MIP”.

 

Inizialmente Velasca è solo un e-commerce. “A settembre 2014 facevamo 3mila euro al mese di vendite. Arrivò un finanziamento da 125mila euro e, in un momento in cui il retail era in picchiata, decidemmo di aprire un temporary store in via Tortona. Una scommessa vinta: a dicembre il fatturato era decuplicato”. Quindi si cambia il modello di business: “Abbiamo capito che l’omnicanale era l’ideale in quella fase, perché bisognava lavorare sulla fiducia dei clienti e sul posizionamento del brand”. Viene aperto il primo negozio stabile, sempre a Milano: oggi ci sono 10 negozi Velasca in cinque città italiane (oltre a Milano, Roma, Torino, Bologna, Firenze) e due a Parigi e Londra. “A ottobre 2019 è iniziata la fase internazionale, abbiamo chiuso il 2019 con 10 milioni di fatturato lordo, cioè a lordo resi, con una crescita dell’80% anno su anno. Dovevamo aprire un negozio a New York. Poi è arrivato il Covid”.

 

Velasca si ferma per due mesi. A chi viene voglia di comprare una scarpa da uomo elegante quando si sta sempre in pantofole? “Nonostante fossimo forti sul digitale, la propensione all’acquisto è scesa. E con i negozi chiusi il business è evaporato”. Dal periodo di fermo maturano però nuove strategie, soprattutto per quanto riguarda la comunicazione, che viene più incentrata sulle persone rispetto al prodotto, e intesa come un legame con i clienti in un tempo difficile. Una comunicazione basata sui valori di Velasca, l’italianità prima di tutto: “L’Italia ha quasi un obbligo morale di portare il bello nel mondo. Noi non siamo semplicemente Made in Italy ma siamo anche ambasciatori dell’italianità, dello stile di vita italiano”. In realtà, raccontano, “lo stop ha cambiato l’approccio dell’azienda stessa. Abbiamo sempre pensato di dover crescere, crescere, crescere, dell’80-100% anno su anno. Ma questa cosa è cambiata. La chiusura dei negozi ci ha portato via il 50% del fatturato, e siamo dovuti passare da un approccio imprenditoriale a uno più manageriale. Abbiamo dovuto gestire un team di 50 persone, abbiamo dovuto usufruire degli ammortizzatori sociali, ma abbiamo anche capito di essere in grado di reagire a eventi imprendibili e di avere un gruppo molto affiatato”.

 

Le ottime vendite post-lockdown hanno confermato come “la gente cerchi non solo la scarpa perché gli serve in quel momento, ma proprio il brand”. E ora è il momento di guardare al futuro: “Vogliamo avere un progetto più ambizioso di prima, vogliamo dare un significato a questo periodo. Puntiamo prima di tutto a proseguire l’internazionalizzazione del brand, negli Usa e poi in Germania. Poi esplorare target diversi e aprire al mercato femminile”. Niente tacchi però: “L’idea è quella di una linea che abbracci l’artigianato e un concetto di consumo più sostenibile, di una scarpa che diventa più morbida se vissuta e tenuta bene”. E poi usare la base di clientela già esistente per proporre nuove categorie merceologiche, anche se “vorremmo che Velasca restasse verticale sulla scarpa da uomo”. Infine il progetto, ambizioso, di portare artigiani o operatori logistici sotto il “cappello” di Velasca, in un grande gruppo direct to consumer italiano. “Non è un futuro vicino. Ma è quello su cui fantastichiamo”.

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