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Il lato positivo della crisi del petrolio

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Il crollo dei prezzi e della domanda commerciale del petrolio ha messo all’angolo l’industria fossile. E, per molti, l’investimento in energie rinnovabili diventa sempre più attraente. Articolo di Jeffrey Ball apparso sul numero di Fortune Italia di giugno 2020.

A MARZO, IL PRESIDENTE FRANCESE Emmanuel Macron ha parlato sulla televisione nazionale, in diretta dall’Eliseo, dicendo ai suoi concittadini che la Francia era “in guerra” con il Coronavirus. Tre giorni dopo Patrick Pouyanné, chief executive del gigante francese del petrolio Total, ha spedito ai suoi 100mila dipendenti un video messaggio altrettanto schietto sulle rotte energetiche del futuro. Il prezzo del petrolio era appena collassato, “dimezzando il prezzo delle nostre azioni”, notava agitato il Ceo, mentre parlava dalla Total Tower di Parigi stringendo un microfono nella mano destra, nello stile di un life coach nel pieno del suo show. Per arginare l’emorragia, Total nel 2020 taglierà del 20% le spese totali, triplicando i tagli già preventivati sulle spese operative, e sospenderà il buyback delle azioni.

 

Ma una cosa che Total non farà, ha detto Pouyanné ai suoi sottoposti, è ridurre l’investimento nella divisione ‘new energies’, l’unità che include gli investimenti su solare, vento e batterie. Quella divisione, ha detto Pouyanné, “verrà salvaguardata, perché dobbiamo prepararci per il futuro”. Il risultato: quest’anno i (circa) 2 mld di dollari che Total spenderà su rinnovabili e energy storage ammonteranno al 13% delle spese totali dell’azienda, una percentuale che una volta sarebbe stata inconcepibile per una compagnia petrolifera. Molto prima dell’epico crollo di questa primavera, il settore energetico aveva già cominciato ad affrontare una minaccia esistenziale, ancora più a lungo termine. Da tempo sono finiti i giorni di gloria, quando il consumo di petrolio cresceva inesorabilmente e le nazioni e le aziende con più oro nero a disposizione si spartivano anche i profitti maggiori. Prima dal coronavirus, si era già entrati in un nuovo mondo, uno in cui il raggiungimento del picco della domanda da petrolio era previsto in neanche venti anni, mentre a crescere erano le pressioni esterne (di attivisti, regolatori ma anche banche centrali e hedge funds) verso la diversificazione del settore petrolifero in energie più verdi. Una pressione che aveva già iniziato a dare nuova forma alle strategie dell’industria petrolifera. Il mercato energetico odierno sembra diretto verso un cambiamento ancora più netto.

 

Il crollo dei prezzi del petrolio ha cambiato i numeri dei ritorni sugli investimenti, sia per i dirigenti del petrolio che per gli investitori esterni. I margini di profitto di molti progetti petroliferi sono scesi al livello di quelli per le rinnovabili. Ma i progetti ‘green’ hanno il pregio di essere a basso rischio, perché l’energia prodotta viene solitamente venduta con contratti molto più lunghi di quelli solitamente usati nell’industria fossile. E le attività per l’energia pulita dei big del petrolio non vengono intaccate dai tagli di quelle stesse aziende sulle spese a breve termine. Perché sono tagli che cercano di diminuire la quantità di petrolio che si porta sul mercato, in risposta all’odierna depressione dei prezzi. In questo momento, il settore fossile affronta un uno-due micidiale: un aumento delle scorte provocato dalla partita a scacchi tra Russia e Arabia Saudita, e la distruzione della domanda provocata dalla recessione del coronavirus. Il prezzo del Brent, benchmark internazionale del petrolio, è precipitato del 52% tra il 3 marzo e il primo aprile, e i prezzi sono risaliti a neanche 30 dollari a barile, un paio di settimane dopo. Secondo le stime dell’Iea, il consumo globale di petrolio, la cui crescita è in calo da diversi anni, precipiterà nell’autunno 2020. Un deprezzamento lungo un anno: non succedeva dalla crisi finanziaria.

 

 

I giganti dei combustibili fossili si sono affrettati a razionalizzare i costi mentre vedevano le azioni precipitare; Exxon Mobil ha annunciato ad aprile alcuni tra i maggiori tagli del mercato, impegnandosi a tagliare il capital spending 2020 del 30%, a quota 23 mld di dollari. Aziende più piccole hanno cominciato a prepararsi alla bancarotta; tra queste Whiting Petroleum, una volta un produttore in rapida crescita del North Dakota, parte della grande area petrolifera del Bakken.

 

 

Come è successo tante altre volte nel settore, dal successo si è passati al fallimento. L’industria sperava che l’accordo di metà aprile per la riduzione della produzione, in particolare da parte dell’Arabia Saudita, avrebbe risollevato i prezzi. Ma le sfide principali rimangono: tante scorte e minore domanda. Verrà particolarmente colpito il bacino del Permian, una distesa di campi petroliferi spalmata tra Texas e New Mexico. I preparativi da parte di grandi produttori dell’area (Exxon Mobil, Chevron, Occidental Petroleum) fanno presagire tagli alla spesa che arriveranno a molti miliardi di dollari.

 

Ken Winkles sta aspettando i prossimi ridimensionamenti nel suo ufficio a Pecos, in Texas, cuore del Permian. Fino a poco fa qui i lavoratori dei campi petroliferi si affollavano nei dormitori locali, intasavano i fast food e riempivano le strade di traffico, tutte le mattine. Adesso tutto questo sta sparendo. A marzo, e questo è un indicatore particolarmente minaccioso, il numero di permessi per la perforazione concessi nell’area è sceso del 38% da febbraio e del 59% da marzo 2019. Winkles, che è direttore esecutivo della Pecos Economic Development Corp., si considera un ottimista. Ma è anche realista. “Siamo solo all’inizio del rallentamento, del crollo, o di come lo vuoi chiamare”, mi racconta.

 

La discesa è stata rapida. Quando Chevron ha ospitato il suo annuale meeting con gli investitori a New York, il 3 marzo, tra le crescenti preoccupazioni per il Coronavirus, ha bandito le strette di mano, invitando dirigenti e analisti a salutarsi con i gomiti. Nonostante questo, tutti loro scommettevano ancora sul mercato. Gli executive scorrevano slide basate su un Brent fermo a 60 dollari a barile. Tre giorni dopo la sfida tra Arabia Saudita e Russia ha sprofondato i prezzi. Cercando di riassestarsi, il 24 marzo Chevron ha annunciato che avrebbe tagliato il budget per le spese del 20%, a 16 mld di dollari. I tagli si concentreranno sulla produzione a breve termine, e circa la metà arriveranno grazie alla riduzione della produzione nel Permian. Ci saranno anche licenziamenti. È la svolta “più difficile che l’industria abbia mai affrontato”, mi dice Pierre Breber, chief financial officer di Chevron. “Se il petrolio resterà a 30 dollari a barile per due anni, ad esempio, per noi sarebbe uno scenario totalmente nuovo”. Ma Breber dice che il piano a lungo termine di Chevron per tagliare la sua ‘intensità di carbonio’ resta intatto. Tra i progetti c’è quello di ammodernare l’estrazione del petrolio in modo da renderla energeticamente efficiente. In una grande area ricca di gas naturale nel mare australiano, Chevron sta anche scommettendo forte su una tecnologia chiamata ‘Carbon capture and sequestration, che prende l’anidride carbonica dall’aria e la spara sottoterra. Un approccio che per molti scienziati è essenziale per affrontare i cambiamenti climatici.

 

 

ANCHE IL RALLENTAMENTO economico provocato dal virus sta evidenziando la competitività delle energie rinnovabili. Particolarmente nei mercati elettrici, dove le compagnie petrolifere vogliono avere un ruolo più forte. In molte parti del mondo la domanda di elettricità è diminuita. Riduzioni che hanno avuto l’effetto di aumentare la percentuale di energia proveniente da solare e eolico, sia perché il loro carburante è gratis, sia per i sussidi alla produzione di cui godono. La crisi globale “ha portato alcuni sistemi energetici in avanti di 10 anni”, ha scritto Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Iea, in un’analisi di marzo. “Improvvisamente questi sistemi sono arrivati a livelli di energia solare ed eolica che non avrebbero raggiunto senza un’altra decade di investimenti”.

 

Prendiamo il caso della California, da tempo un esempio di energia verde. A metà aprile, con la popolazione dello Stato già in quarantena, la domanda di elettricità dei giorni feriali era a un 5-8% sotto ai livelli normali, secondo l’ente che gestisce la rete energetica, il California independent system operator. Chi produce energia rinnovabile normalmente rivende alla rete a prezzi più bassi rispetto a chi produce energia fossile, perché è un tipo di energia che viene persa se non viene usata. Quindi “è lecito dedurre che le rinnovabili stiano servendo una percentuale più alta della richiesta rispetto al solito”, dice Steve Berberich, chief executive dell’ente. Questo ha amplificato il problema costituito dagli eccessi di vento e energia solare, che portano saltuariamente la California a generare più energia di quella che usa. Un problema a cui bisogna rispondere con una maggiore elasticità delle power grids, con tecnologie come le batterie, per immagazzinare i surplus di energia pulita. I progetti di energia rinnovabile non sono immuni allo shock economico globale. La crescita delle vendite di pannelli solari e turbine eoliche sta rallentando dai suoi consueti altissimi livelli, a causa della pausa forzata di fabbriche, trasportatori e domanda energetica.

 

Nella Total francese, i dirigenti dicono che saranno probabili dei ritardi nella costruzione di alcuni impianti solari ed eolici, perché le restrizioni per il coronavirus stanno ostacolando i lavoratori. In un certo senso questo è anche un indizio del progresso compiuto dalle tecnologie dell’energia pulita: una volta le rinnovabili erano uno ‘zero virgola’, ora sono industrie così significative da essere vulnerabili alle dinamiche macroeconomiche, così come lo sono i giganti dei combustibili fossili. I venti contrari alle rinnovabili, tra l’altro, sono relativi. Mentre il petrolio si dirige verso uno degli anni peggiori della sua storia, impianti solari ed eolici rimangono solidi, secondo Wood Mackenzie. I progetti globali sul solare caleranno un po’ nel 2020, prima di ritornare a una rapida crescita il prossimo anno, secondo i ricercatori, mentre le installazioni eoliche toccheranno nuovi record annuali.

 

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