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MES, referendum, alleanze: i tormenti di PD e governo

C’è sempre un prezzo da pagare per un’alleanza di governo. Vanno messi insieme programmi diversi e ‘digerite’ posizioni che non sono le proprie. Ma c’è una soglia oltre la quale il prezzo si alza troppo, mettendo in gioco l’identità di un partito e il legame con gli elettori. Nel caso del Partito Democratico, i segnali che annunciano il raggiunto livello di guardia sono sempre più evidenti. La decisione sul MES, l’indicazione per il voto al referendum sul taglio dei parlamentari e le alleanze per le amministrative con i Cinquestelle sono un banco di prova che sollecita la tenuta di una linea politica che appare a molti sempre meno comprensibile. Cercare di esporsi il meno possibile, temporeggiando nell’ottica del compromesso, rischia di risultare una strategia miope.

 

Si intrecciano i temi più strettamente politici con quelli economici, chiamando la segreteria di Nicola Zingaretti a fare scelte che dovrebbero essere chiare e che, invece, restano avvolte in una cautela che viene sempre più spesso percepita come imbarazzo.

 

Il ‘no’ al referendum, di fronte a un taglio dei parlamentari che senza una riforma organica ha poco senso e pochissima coerenza con la storia ‘Dem’, ne è la rappresentazione più evidente. Le parole di Romano Prodi, scritte in un editoriale sul Messaggero, sono l’ultimo e più evidente tassello di una sempre più diffusa ed esplicita presa di posizione nelle fondamenta culturali del Pd: “sarebbe più utile al Paese un voto negativo, proprio per evitare che si pensi che la diminuzione del numero dei parlamentari costituisca una riforma così importante per cui non ne debbano seguire altre, ben più decisive per il futuro del nostro Paese”.

 

Un altro argomento, con una firma autorevole, che si aggiunge alla lista di motivazioni che dovrebbero indurre a una scelta diversa. Non c’è evidentemente altra ragione che non sia il patto di governo con il Movimento Cinquestelle, che invece del taglio dei parlamentari ha sempre fatto una misura identitaria, per suggerire il Sì al referendum agli elettori del Pd. E anche il tentativo di inserire l’indicazione all’interno di un percorso che passi per un primo via libera alla riforma della legge elettorale sembra uno stratagemma fragile.

 

Diverso l’approccio sul MES. La posizione di Zingaretti è in questo caso è chiara, e da mesi. I soldi vanno presi e vanno utilizzati per il bene del Paese. Il problema è portare su questa posizione il premier Giuseppe Conte, ancora preoccupato di non indispettire la componente grillina della maggioranza. Il tema, però, è lo stesso. Fino a che punto deve spingersi il compromesso per salvaguardare l’accordo di governo? Del MES non si può fare a meno e la decisione finale non può attendere.

 

Poi, ci sono le alleanze per le amministrative. Il tentativo di tenere insieme forze ‘alleate e diverse’ si sta scontrando contro l’evidenza di distanze locali, è il caso di Puglia e Marche, e contro l’ostinazione di puntare su candidati che non possono unire, e che rasentano la ‘provocazione’, come nel caso della ricandidatura della Raggi a Roma.

 

Tutto questo rischia di minare anche gli equilibri già precari su cui si muove l’azione di governo. Quando, invece, la situazione economica, che resta pessima, e il rischio che possa riaccendersi la spia dell’emergenza nella gestione dell’epidemia del Coronavirus, dovrebbero suggerire di mettere da parte le schermaglie politiche per concentrarsi sulle reali esigenze del Paese.

 

 

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