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L’emergenza Coronavirus ha imposto uno stop doloroso a tutti, mondo del calcio incluso, causando danni economici e privando milioni di italiani delle loro abitudini e delle loro passioni. E ripartire, con il buon senso e compatibilmente con l’andamento dell’epidemia, deve essere una prospettiva condivisa. Ma tornare negli stadi in questo modo, mille alla volta e a discrezione di questo o quel presidente di Regione, non ha senso. Per nessuno e, prima di tutti, per i tifosi di calcio. Le scelte e le polemiche di queste ore fotografano una confusione e un pressappochismo che penalizzano le società, che fino a prova contraria sono imprese, e che rischiano di deteriorare ancora di più il loro prodotto, il calcio. Le decisioni estemporanee a poche ore dal voto alle regionali fanno pensare al calcolo elettorale, alla ricerca del consenso last minute. Agli interessi di parte, piuttosto che all’interesse collettivo. Si potrà andare negli stadi quando si potrà avere un piano condiviso e articolato che consenta di far muovere le persone in sicurezza. Finora non è stato possibile farlo semplicemente perché quelle condizioni non possono esserci. Le fughe in avanti non servono a nessuno. Anche perché non possono che produrre soluzioni cervellotiche: mille tifosi (privilegiati? incoscienti? cavie?) servono solo a rendersi ridicoli.

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