Non ci sono solo tre punti in palio. Juve-Napoli è un nuovo capitolo di una infinita sfida tra la la giurisdizione ordinaria e quella sportiva. Non è la prima volta che accade ma è sicuramente quella più clamorosa.
Una non partita, con il Napoli che non si presenta e la Juve e gli arbitri regolarmente in campo, che sembra un paradosso ma è molto di più. Perché con i contagi da Covid che stanno tornando a crescere, la gestione del calcio è uno dei terreni più accidentati. Perché quella che ruota intorno al pallone è una delle prime industrie del Paese – muove miliardi di euro e produce lavoro e una fetta importante del pil – e anche perché rappresenta un palcoscenico sul quale si misura parte della credibilità di una classe dirigente costretta a confrontarsi con decisioni mai così complesse.
Ci sarebbe stata una partita di cartello, Juve-Napoli. C’è una ASL, quella di Napoli, che nega il via libera al viaggio verso Torino. C’è il governo che, con i ministri Spadafora e Speranza, non va contro la decisione dell’autorità sanitaria locale ma deve rispettare l’autonomia dello sport e il protocollo messo a punto dal Cts. Ci sono Lega Calcio e FGCI che vanno avanti per la loro strada, con la priorità di salvaguardare la regolarità di un campionato che è già in equilibrio precario alla terza giornata.
Il risultato è un gigantesco corto circuito che non fa bene a nessuno. Il dato sportivo che riguarda Juve-Napoli può anche passare in secondo piano ma resta la sconcertante incapacità di trovare una soluzione che evitasse il pessimo epilogo di questa domenica sera.
Arriverà un 3 a 0 a tavolino, seguirà un ricorso, si tenterà una mediazione. Ma il calcio, come sport e come industria, deve interrogarsi sul suo futuro più immediato: servono le regole, serve il protocollo, ma serve anche un po’ di buon senso in più.
