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Nba, i numeri dell’accordo sulla nuova stagione

Nba Lebron James

La Nba si veste da Babbo Natale. Mentre lo sport mondiale, tranne la Premier League che durante le feste piazza turni tra la vigilia di Natale, Santo Stefano e Capodanno, è comodo sul divano durante le feste (sempre che la pandemia conceda di giocare fino a dicembre), la lega del basket parte a un passo dal Natale, dal 22 dicembre, anticipando i tempi dello start che era previsto all’inizio del 2021.

 

 

Come (quasi) sempre nello sport americano si è imposta la legge dei dollari: partenza in anticipo (l’infinita stagione passata si è chiusa a metà ottobre con il titolo ai Los Angeles Lakers di Lebron James) per un format più leggero, 72 partite di stagione regolare, poi i playoffs e il lasciapassare agli atleti per la partecipazione alle Olimpiadi di Tokyo, a luglio, rinviate al 2021 per la pandemia, per poi tornare alle origini, torneo al via a ottobre con epilogo a giugno.

 

 

Ed è stata proprio la pandemia a imporre l’anticipo nella partenza, anche se stelle come lo stesso Lebron James si sono schierate contro, poco riposo (appena otto settimane) dopo la stagione durata oltre 13 mesi. Ma le stelle in campo a Natale sono un segnale agli americani e soprattutto agli sponsor: la lega più mediatica del mondo, che si è presa la scena anche nella corsa alle presidenziali con un contributo all’incremento al voto degli afroamericani, vuole passare all’incasso in termini di esposizione televisiva e ritorni pubblicitari.

 

 

Tutto è business, lo sanno anche i cestisti che si sono seduti al tavolo con i proprietari: il 18% degli stipendi (anziché il 10%) degli atleti per due anni finirà in un fondo poi redistribuito tra i proprietari delle franchigie: 700-800 milioni di dollari per il disturbo causato dal Covid-19 (danno complessivo per la Nba, 1,5 mln di dollari). Certo, per qualche star ci sarà una contrazione sullo stipendio: Lebron James incasserà sette milioni in meno (32,2), così Steph Curry o Kawhi Leonard. Ma è il segnale che conta, al primo posto c’è il business, per non far saltare il banco anche le stelle fanno un passo indietro.

 

 

Una visione d’insieme che manca attualmente nel calcio europeo. Nella Serie A che ha chiesto – inutilmente – un rimborso da 600 milioni al Governo per le perdite dei mesi scorsi c’è il tema della riduzione dei salari. Forse, il passo per rendere più sostenibile il sistema. Nella Nba c’è già stato il taglio del 25% in primavera, qualche giorno fa il presidente della Figc, Gabriele Gravina, ha scritto alle federazioni europee e per conoscenza a Uefa, Fifa e sindacato calciatori, sulla necessità di una sforbiciata agli emolumenti. In Italia l’ultima è stata il Milan. Non tutti gli atleti sono concordi, per esempio al Barcellona Messi e Piquè non accetterebbero il taglio del 30% del salario. Servirebbe una posizione unitaria. Anche in questo caso la Nba si mostra un passo avanti sul piano della contrattazione, il punto debole del calcio italiano ed europeo.

 

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