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Coronavirus devastante per la moda, -38% capitalizzazione mercato

(LuxuryandFinance) – Un impatto “devastante” quello della pandemia sul settore della moda. Così lo definisce McKinsey & Company nel report ‘The State of Fashion 2021‘ realizzato insieme a The Business of Fashion e giunto alla sua quinta edizione. Sulla base di un set di dati di 176 aziende che hanno riportato i risultati trimestrali in aprile, maggio o giugno, i ricavi sono diminuiti del 34% rispetto allo stesso periodo del 2019, e gli Ebitda margin sono scesi di 21 punti percentuali. Il lusso e il lusso ‘accessibile’, il cosiddetto affordable luxury, hanno continuato a mostrare numeri migliori, mentre il colpo più duro lo hanno subito i prodotti di livello più basso, “forse riflettendo – nota il report – come i primi mesi di Covid-19 abbiano generato relativamente meno incertezza sulla spesa dei consumatori più ricchi”.

 

Per altro, nei segmenti ‘discount’ e ‘value’ la quota di e-commerce è spesso bassa, e questo ha influenzato la performance durante il periodo di lockdown. Vista la pressione sul retail fisico e la percentuale relativamente alta di aziende di moda che sono entrate in crisi, non sorprende che lo shock causato dalla pandemia sia stato un passo troppo grande per molti marchi.

 

“Il Covid-19 potrebbe stimolare la più grande contrazione economica dalla seconda guerra mondiale, colpendo ogni settore, dalla finanza all’ospitalità. Eppure la moda, per la sua natura discrezionale, è particolarmente vulnerabile. La capitalizzazione media di mercato dei player dell’abbigliamento, della moda e del lusso è scesa di quasi il 40% tra l’inizio di gennaio e il 24 marzo 2020, un calo molto più accentuato di quello del mercato azionario complessivo”, secondo McKinsey. La previsione è che le ripercussioni umanitarie dureranno più a lungo della pandemia stessa, mentre le conseguenze per la moda, una delle più grandi industrie del mondo, che ha generato 2,5 trilioni di dollari di ricavi annuali globali prima dell’emergenza sanitaria, avranno a che fare con disoccupazione o difficoltà finanziarie per tutta la value chain. McKinsey stima, in particolare che, i ricavi per l’industria globale della moda (settori dell’abbigliamento e delle calzature) si ridurranno tra il 27 e il 30% nel 2020 su base annua, anche se il settore potrebbe riguadagnare una crescita positiva del 2-4% nel 2021 (rispetto al dato di riferimento del 2019).

 

Per l’industria dei beni di lusso personali (moda di lusso, accessori di lusso, orologi di lusso, gioielli di lusso e bellezza di fascia alta), la contrazione del fatturato dovrebbe attestarsi tra il 35 e il 39% nel 2020 su base annua, ma vedrebbe una crescita positiva dell’1-4% nel 2021 (rispetto al dato di riferimento del 2019). Se i negozi rimarranno chiusi per due mesi, l’analisi di McKinsey stima che l’80% delle aziende di moda quotate in borsa in Europa e Nord America si troveranno in difficoltà finanziarie. In combinazione con l’analisi del McKinsey Global Fashion Index (MGFI), l’attesa è che “un gran numero di aziende di moda globali fallisca nei prossimi 12-18 mesi”. I calcoli, basati sulle variazioni nel tempo delle capitalizzazioni di mercato contenuto nell’indice, “suggeriscono che i profitti del settore diminuiranno del 93% nel 2020 dopo essere aumentati del 4% nel 2019”.

 

C’è tuttavia un altro lato della megalia: “Se da un lato l’impatto della crisi sulle imprese e sull’occupazione è stato devastante, dall’altro potrebbe aver accelerato le risposte strategiche che si sono rivelate un po’ più positive nel lungo periodo. Diverse aziende hanno colto l’occasione della crisi per rimodellare e ricalibrare i loro modelli di business, spesso passando dal retail fisico alle piattaforme digitali o solo digitali”. Nel documento si cita ad esempio Inditex che ha dichiarato all’inizio dell’estate che avrebbe chiuso 1.200 negozi in tutto il mondo (il 16% del totale). Ha poi visto un’impennata degli acquisti online che ha contribuito a un aumento delle vendite pari a +74% tra febbraio e il 31 luglio, rispetto allo stesso periodo del 2019.

 

Sono stati venduti qualcosa come un milioni di articoli al giorno. Grande importanza avranno i sussidi dei governi. Senza sovvenzioni e altri sostegni, l’analisi mostra che il 75% delle aziende europee si troverebbe in difficoltà finanziarie, sulla base del campione di 73 aziende di moda quotate della regione Emea (Europa, Medio Oriente e Africa) con oltre 250 milioni di dollari di fatturato netto. Con sussidi parziali e una ripresa più debole, la percentuale di aziende in difficoltà potrebbe scendere al 58% o al 52% con una ripresa più forte. È lecito aspettarsi che un panorama di politiche di sostegno mantenga circa la metà delle aziende a galla e acceleri un’ondata di consolidamento nel 2021, quando gli attori più forti prenderanno il controllo del mercato.

 

Ci sono anche segnali di una lenta ripresa, con le aziende del settore che iniziano ad adeguarsi alla nuova normalità e a riposizionare le loro ambizioni strategiche. La capitalizzazione media del mercato delle aziende del settore moda ha toccato il punto più basso nel marzo 2020, con valutazioni inferiori del 38% rispetto ai livelli del dicembre 2019. Da allora, tuttavia, le valutazioni hanno iniziato a recuperare lentamente, e al 23 ottobre 2020 erano scese solo del 13% rispetto al dicembre 2019. Un tema che emerge forte dalla ricerca è che i rivenditori esclusivamente online come Farfetch, Zalando, Asos e Revolve hanno costantemente superato le prestazioni nel 2020. Gli operatori hanno visto incrementare le vendite fino al 70% in più rispetto all’anno prima.

 

Guardando al futuro, lo scenario di base è cautamente ottimistico, con il virus più efficacemente controllato nel corso del prossimo anno. Allo stesso tempo, gli interventi governativi compenseranno in parte l’impatto economico, i viaggi si intensificheranno, insieme alla possibilità di incontri sociali. In questo scenario, mercati come quello cinese sarebbero in forte ripresa. Prevediamo una crescita delle vendite in Cina del 5-10% nel 2021 rispetto al 2019. L’Europa, d’altra parte, continuerà probabilmente a risentire degli effetti del calo degli arrivi dei turisti, che nel 2021 porteranno a un calo delle vendite del 2-7% rispetto al 2019. Inoltre, è improbabile che i livelli di attività pre-crisi ritornino prima del terzo trimestre del 2022. Ci aspettiamo una traiettoria simile negli Stati Uniti, con vendite in calo dal 7 al 12% il prossimo anno rispetto al 2019, e solo una modesta ripresa prima del primo trimestre del 2023.

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