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Coronavirus, la variante inglese (?) e le ritorsioni per Brexit

La variante inglese del Coronavirus molto probabilmente non è inglese. O, quanto meno, non è solo inglese. Come dimostra il caso di Loreto e come dimostreranno tutti gli altri casi che emergeranno, in Italia e altrove. Ci sono sufficienti ragioni per sostenere che il virus stia circolando in varianti diverse da tempo e in diverse aree. Sulla scoperta ‘inglese’ incidono anche la frequenza e l’attenzione con cui si va a sequenziare il genoma dei virus, un fronte sul quale il Regno Unito è notoriamente all’avanguardia.

 

C’è però un tema politico, e soprattutto economico, che si lega alla gestione di questi giorni del ‘caso inglese’. La reazione europea, con l’Italia capofila, alla diffusione delle notizie legate alla variante del Coronavirus, sarebbe stata profondamente diversa senza Brexit. I disastri prodotti dalla gestione di Boris Johnson si sono saldati con una forma neanche troppo velata di ‘ritorsione’ per le conseguenze dell’isolamento scelto con l’uscita traumatica, e non concordata, dall’Unione Europea.

 

I due piani si intrecciano. Su quello strettamente legato al Covid, ci sono le parole che hanno autorizzato tutti a far salire il livello di emergenza. Le misure restrittive annunciate per Londra e l’Inghilterra, ha detto il ministro della Sanità Matt Hancock, si sono rese indispensabili perché necessarie a “controllare la diffusione della nuova variante” di Coronavirus che “era fuori controllo”. E quel “fuori controllo” ha fatto scattare misure immediate, e non coordinate, dai singoli Paesi europei.

 

Il governo italiano alle 16.54 di domenica 20 dicembre ha chiuso i cieli agli aerei provenienti dal Regno Unito, bloccando migliaia di italiani pronti a rientrare nel nostro Paese per qualche giorno di vacanza. Molti erano già all’aeroporto, quasi tutti con un tampone negativo in tasca. Domenica, comunque, con i voli partiti prima delle 16.54 sono atterrati in Italia, provenienti dal Regno Unito, una trentina di voli con 25o0 passeggeri a bordo. Forse, si poteva intervenire con un po’ più di equilibrio. Magari spostando a Mezzanotte, come hanno fatto tutti gli altri Paesi europei, lo stop ai voli.

 

L’altro piano è quello legato ai rapporti tesi, causa Brexit. La tensione, come dimostrano le file chilometriche di camion a Folkestone e Dover, i punti d’ingresso in Inghilterra per i treni sotto la Manica e per i traghetti che la attraversano, si stava alzando comunque all’avvicinarsi della notte del 31 dicembre, quando al termine della ‘fase di transizione’ l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, sancita dal referendum del 2016 e approvata definitivamente dalle due parti nel gennaio scorso, diventerà realtà.

 

Un accordo tra Ue e Regno Unito protrebbe arrivare in extremis nelle prossime ore, per consentire una ratifica da parte del Parlamento Ue nell’ultima settimana del 2020. Se così fosse, si può pensare anche a una gestione meno traumatica della complicata questione dei flussi di persone, e merci, in una fase già di estrema emergenza come quella che stiamo attraversando per il Coronavirus.

 

Con l’auspicio che la variante ‘inglese’ diventi ‘solo’ una variante del virus, che possa essere contenuta, e che la politica, a partire da quella italiana, sia in grado di gestire i rapporti con il Regno Unito tenendo in maggiore considerazione anche le esigenze economiche e sociali, incluse quelle dei tanti italiani che in Inghilterra continuano a lavorare e a studiare.

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