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Coronavirus, a rischio chiusura 1 impresa familiare su 4

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(Luxuryandfinance.it) – La cultura dell’equity deve accompagnare in questa fase storica particolarmente complessa, causa Coronavirus, le aziende familiari. Le quali, pur mostrando una certa resilienza, rischiano, per un discreto numero, di entrare in procedure concorsulai o liquidatorie. Emerge dall’XII Osservatorio Aub dal titolo ‘Le imprese familiari di fronte alla pandemia Covid-19’ a cura di Guido Corbetta e Fabio Quarato, della cattedra Aidaf-EY di Strategia delle Aziende familiari in memoria di Alberto Falck dell’Università Bocconi. Sono circa 18mila le aziende in Italia con ricavi superiori a 20 milioni. Il 65,6% di queste imprese, e dunque due terzi, sono a controllo familiare. Quelle con un giro d’affari superiore ai 50 milioni di euro tra il 2007 e il 2018 sono passate da 4251 a oltre 5086. “Dal 2008 al 2019 le imprese familiari italiane hanno lavorato molto e hanno lavorato bene”ha evidenziato Corbetta. Il tasso di crescita delle aziende familiari dal 2010 rimane superiore a quello di altri tipi di aziende non familiari.

 

Confrontando i primi mille gruppi di quattro paesi europei – Francia, Germania, Italia e Spagna – risulta evidente che le imprese familiari non sono appannaggio solo italiano. Anzi. In Francia rappresentano il 28,3%; in Germania il 39,5%, in Spagna il 35,4% e in Italia il 43,7%. Ma cosa fanno queste imprese in Italia? Il 50% opera in settori manifatturieri, più o meno come in Germania. “Questo ci porta a dire – evidenzia Corbetta – che la ripresa dipenderà, almeno per il nostro Paese e anche per la Germania, da quanto le imprese manifatturiere familiari sapranno superare il momento difficile. In Italia circa l’80% delle imprese familari è al di sotto di 1 milairdo di euro di ricavi. Questa percenuale scende al 40% in Germania e anche la Francia si posiziona meglio del nostro paese. Tra le prime 1000 imprese, l’Italia presenta una incidenza di aziende quotate inferiore a Francia e Germania. In Italia le imprese familiari quotate sono più delle non familiari. In Francia le quotate familiari sono il 29,3%; in Germania il 13,2%, in Italia l’11%, in Spagna soltanto il 4%. Dal punto di vista della governance, la ricerca rileva anche un’elevata presenza di leader familiari nelle imprese italiane e spagnole. Ma anche in Francia la leadership familiare è comunque largamente diffusa. inoltre, una percentuale più elevata di consiglieri familiari è presente nelle imprese italiane e spagnole. Ciò che accomuna l’Italia agli altri paesi, il fatto che i conferma un gender-gap molto elevato nei ruoli di leadership, in particolare in Germania. E non solo nelle imprese familiari. In queste ultime, così come in tutte le imprese, in Italia si registra una percentuale maggiore di leader sopra i 70 anni. “La sfida generazionale e quella di genere ci accomunano con altri paesi e soprattutto accomunano imprese familiari e non familiari in Italia” evidenzia il docente.

 

Dal 2010 al 2019 le aziende familiari italiane sono cresciute più delle imprese francesi, tedesche e spagnole. Addirittura nel 2019 avevano superato la redditività operativa del 2010, superando le imprese francesi e spagnole e restando indietro rispetto alla sola Germania. Sempre nel confronto internazionale si evidenzia il dato più critico rispetto alla crescita: le società francesi e tedesche hanno concluso tra il 2010 e il 2019 operazioni di M&A in numero superiore rispetto a quanto effettuato da aziende italiane e spagnole. Quelle familiari in particolare: 1646 in Francia, 1509 in Germania, 984 in Italia, 742 in Spagna. La percentuale di aziende acquiror (che hanno fatto almeno 1 acquisizione) è pari a circa il 40% del totale delle aziende in tutti i Paesi, con una incidenza maggiore in Germania. Ciò che è molto diverso è il numero di acquisizioni: le aziende acquiror francesi e tedesche (8,4) concludono in media un numero di operazioni più che doppio rispetto a quello delle aziende acquiror italiane (3,7) e spagnole.

 

Rispetto alla solidità finanziaria, dal valore massimo del 2011 il rapporto Debt/ Equity delle aziende familiari si è ridotto di circa il 33%; dal valore massimo del 2012 il rapporto PFN/EBITDA delle aziende familiari si è ridotto del 18% dal valore massimo del 2012 il rapporto PFN/Equity delle aziende familiari è diminuito di oltre il 26%. Tutto ciò evidenzia che le imprese italiane, tutte, hanno mediamente migliorato di molto i loro indicatori finaziari. Questi sono i segnali positivi, ma nel rapporto Pfn/Equity, Il 24,3% delle aziende familiari si presenta con valori di indicatori di solidità critici. Il 33,3% delle aziende familiari italiane ha una situazione di solidità problematica o meritevole di attenzione a inizio 2019. Da inizio 2009 a inizio 2020 le aziende con PFN negativa sono aumentate di circa 12 punti e le aziende con una situazione di solidità problematica o meritevole di attenzione si sono ridotte del10% circa. Secondo una analisi dell’Osservatorio AUB X Edizione, la crisi del 2008-2009 ha indotto il 17,5% delle aziende familiari italiane a entrare in procedure liquidatorie e concorsuali nell’arco di un decennio. Se applicassimo le stesse proporzioni, tenendo conto della migliore situazione di solidità all’inizio del 2020, ci si potrebbe attendere che il 13,5% delle aziende familiari italiane entri in procedure liquidatorie o concorsuali nell’arco del prossimo decennio.

 

Ma, secondo l’Outlook del Fondo monetario internazionale, la crisi del 2020, causata dal Coronavirus, sta avendo un impatto sul PIL italiano e internazionale di proporzioni doppie. Se la ripresa dei prossimi anni non fosse migliore di quella del passato decennio, possiamo stimare che circa il 25% delle imprese familiari italiane potrebbe entrare in procedure liquidatorie o concorsuali nell’arco dei prossimi 10 anni. Cosa serve per affrontare le conseguenze della crisi?. Innanzitutto, sottolinea Corbetta, “sviluppare una cultura dell’equity: se dobbiamo colmare gap dimensionali, se dobbiamo fare fronte a difficoltà che si manifesteranno per alcune imprese familiari, è importante sviluppare una cultura dell’equity che favorisce maggiormente crescita e redditività. L’abbiamo chiamata ‘cultura’ perché non si tratta solo di aprire il capitale, ma anche di riorgnaizzare la governance, la politica dei dividendi. Guardando alle quotate abbiamo rilevato che dal 1 gennaio al 31 dicembre 2020 le aziende familiari hanno registrato una performance azionaria superiore del 22,3% rispetto alle aziende non familiari. Questo dato dice che i mercati hanno apprezzato l’orientamento al lungo periodo che hanno visto nelle imprese familiari. Le quali hanno diminuito di meno i ricavi, hanno aumentato i dipendenti, e presentato un Roa del 4,3% suoperiore rispetto alle non familiari. Insomma le quotate hanno reagito e i mercati hanno apprezzato”.

 

Ma come hanno reagito? Mettendo in campo tecnologia e sostenibilità. Meno di una azienda su tre familiare dichiarava si avere già usato lo smart working prima della pandemia: hanno ridotto a 8 punti percentual il gap e mostrato di potere reagire rapidamente. Altro elemento le donazioni: le familiari che hanno dichiarato di avere fatto donazioni sono state meno da un punto di vista percentuale, ma hanno donato 64 milioni contro i 35 delle non familiari. Si tratta tra le familiari di: Moncler, Fca, Tod’s, Atlantia, mediaset, CNH Industrial, Italmobiliare, Erg. Tra le non familiari: Snam, recordati, Telecom, A2A, Nexi, Sicit, Covivio, Avio.

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