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Derivati, riparte processo contabile a ex vertici Mef, esce Morgan Stanley

Morgan Stanley

Si riapre il processo per danno erariale da 4 miliardi nella gestione dei derivati del Tesoro contestato dalla Procura della Corte dei conti all’ex capo della direzione del debito pubblico Maria Cannata e agli ex dg Domenico Siniscalco, Vittorio Grilli (poi ministri dell’Economia) e Vincenzo La Via. Le Sezioni unite civili della Cassazione hanno confermato il difetto di giurisdizione del giudice contabile nei confronti della sola Morgan Stanley, come stabilito da una sentenza della Sezione d’Appello della Corte dei conti del 7 marzo 2019, annullando per il resto la decisione e riconoscendo la giurisdizione della Corte dei conti per gli ex dirigenti del Mef. Nei loro confronti, come richiesto nel ricorso della Procura generale della Corte dei conti, il processo per danno erariale dovrà ripartire dall’inizio.

 

Il procedimento riguarda la legittimità del versamento, fatto dal ministero dell’Economia a Morgan Stanley tra fine 2011 e fine 2012, di circa 3 miliardi in applicazione di una clausola di “Additional Termination Event” presente in alcuni contratti derivati. In primo grado e in appello l’accusa aveva chiesto di condannare la banca americana a pagare 2,76 miliardi, l’ex responsabile del debito Maria Cannata poco più di 982 milioni, l’ex direttore generale del Tesoro Vincenzo La Via 95 milioni circa, gli ex ministri del Tesoro Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli, rispettivamente, 84 e 19 milioni. Sia la corte di primo grado che quella d’appello avevano dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice contabile, accogliendo la tesi di Morgan Stanley, che ha sempre escluso di avere un “rapporto di servizio” con il ministero, e riconoscendo di non potersi esprimere sugli altri imputati per insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali della pubblica amministrazione.

 

La sentenza della Cassazione non entra nel merito, ma si limita a decidere la sola questione della giurisdizione, dichiarando “la giurisdizione della Corte dei conti sulle domande proposte nei confronti dei dirigenti del Ministero, ed il difetto di questa giurisdizione sulle domande proposte nei confronti” di Morgan Stanley. “La sentenza – spiegano gli avvocati Giuseppe Iannaccone e Riccardo Lugaro, che assistono Cannata – è basata soltanto su motivi attinenti alla giurisdizione ed ha rimandato alla Corte di primo grado un nuovo esame dell’operato dei funzionari convenuti. Da parte nostra, siamo fiduciosi che anche questo nuovo grado di giudizio non potrà che dimostrare l’integrità e la competenza della dottoressa Cannata, che ha sempre svolto il proprio lavoro con abnegazione in anni estremamente difficili”.

 

La decisione della Corte dei conti su Morgan Stanley,in quanto soggetto estraneo all’amministrazione, deve ritenersi corretta”, scrive la Cassazione, in quanto “gli elementi sintomatici del rapporto di servizio non sono in alcun modo qui ravvisabili”. Quanto alla “veste di ‘specialista in titoli di Stato’ pure assunta dalla Banca – proseguono i giudici – si deve parimenti escludere l’assunzione di un ruolo di natura pubblicistica ingenerante un rapporto di servizio, e quindi tale da fondare la giurisdizione contabile”. Quand’anche, prosegue la sentenza, “si volesse ipotizzare lo sfruttamento da parte della Banca della propria ascendenza ed influenza all’interno del Ministero al fine di precostituirsi la posizione di supremazia contrattuale [… ] lo squilibrio di ‘potere contrattuale’ così determinato rileva certamente sul piano dei comportamenti negoziali e della loro abusività, non anche e necessariamente su quello dell’investitura e dell’esercizio di una potestà e di una influenza pubblica”. Insomma, la competenza a giudicare è eventualmente del giudice civile, non di quello contabile.

 

Per quanto riguarda, invece, gli ex dirigenti del ministero, i giudici hanno annullato le precedenti decisioni, ritenendole errate, in quando avevano accolto la tesi dell’insindacabilità delle scelte della pubblica amministrazione sostenuta dalle difese. “Ferma restando – si legge nella sentenza della Cassazione – l’insindacabilità giurisdizionale delle scelte di gestione del debito pubblico da parte degli organi governativi a ciò preposti, mediante ricorso a contratti in strumenti finanziari derivati, rientra invece nella giurisdizione contabile, in quanto attinente al vaglio dei parametri di legittimità e non di mera opportunità o convenienza dell’agire amministrativo, l’azione di responsabilità per danno erariale con la quale si faccia valere, quale ‘petitum’ sostanziale, la ‘mala gestio’ alla quale i dirigenti del ministero del Tesoro (oggi Mef) avrebbero dato corso, in concreto, nell’adozione di determinate modalità operative e nella pattuizione di specifiche condizioni negoziali relative a particolari contratti in tali strumenti”. Per la Cassazione, “la valutazione del giudice contabile non poteva fermarsi – pena il denunciato arretramento di potere giurisdizionale – rispetto ad una materia che invece l’ammette. Né alla legale possibilità per lo Stato di fare ricorso ai derivati indipendentemente dallo scopo di copertura e minimizzazione dei costi dell’esposizione pregressa, e neppure alla insindacabilità della determinazione in sé di fare ricorso ai derivati (quanto a rinegoziazione/ristrutturazione/chiusura) in un contesto come quello di specie, dovendo piuttosto rivolgersi alla rispondenza delle concrete modalità negoziali, caratteristiche delle dedotte operazioni, ai canoni di legittimità preposti alla economicità, efficacia e ragionevolezza dell’agire amministrativo”.

 

Ragioni per le quali la Cassazione ha disposto per i quattro ex dirigenti del Tesoro che il giudizio per danno erariale riparta dal primo grado. Esce invece di scena Morgan Stanley, a meno che lo Stato italiano non decida di azionare un nuovo procedimento davanti al giudice civile.

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