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Governo, si tratta per il Conte ter

Si tratta per il Conte ter. Gli stessi partiti che hanno composto la maggioranza che sosteneva il Conte bis si trovano a dover contrattare un nuovo programma e nuova squadra di governo. Ci sono attriti, personali e politici, da limare, posizioni finora inconciliabili e un equilibrio difficile da ritrovare. Tanto che la formula ipotizzata, la stipula di un documento formale, riporta bruscamente indietro al ‘contratto di governo’ del primo governo Conte, quello giallo-verde. Un elemento di chiarezza, se gestito come un crono-programma da rispettare, ma anche un elemento di rigidità, se interpretato esclusivamente come uno strumento per controllare l’azione di governo secondo le logiche di una spartizione di temi e rivendicazioni.

 

Sono passati ormai quasi due mesi da quando la crisi del precedente governo si è mostrata in tutta la sua evidenza, di fronte alla gestione del dossier cruciale, quello del Recovery plan. È passata prima attraverso il tentativo, maldestro, di far sopravvivere la maggioranza anche senza Italia Viva. La fiducia ottenuta al Senato con una maggioranza solo relativa ha imposto la formalizzazione della crisi, con le dimissioni di Conte. E ha sostanzialmente disinnescato il ruolo dei ‘responsabili’, o costruttori, come stampella indispensabile. Poi è arrivato il primo giro di consultazioni e la decisione del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, di provare la strada del mandato esplorativo al presidente della Camera Roberto Fico, per verificare la possibilità di costruire un nuovo governo a partite dallo stesso perimetro della precedente maggioranza. Una soluzione, l’unica praticabile, per arrivare alla formazione di un governo politico.

 

Lo schema su cui si sta lavorando sconta però un paradosso evidente. Serve una profonda discontinuità, ma a garantirla devono essere le stesse forze e, sostanzialmente, gli stessi protagonisti. Discontinuità vuol dire non ripetere gli errori fatti finora e creare le condizioni perché le due priorità assolute, la gestione dell’emergenza sanitaria attraverso la vaccinazione di massa e la definizione e implementazione del Recovery plan, siano gestite con un passo diverso. Servono un patto di legislatura sui contenuti e la migliore squadra di governo che si possa costruire. Manca però il tempo per ripartire da zero. E quindi serve anche una quota di continuità, indispensabile per rendere operativo il nuovo governo il prima possibile.

 

C’è un solo modo per arrivare al risultato. Andrebbero messi da parte i calcoli personali, e quelli di bottega, per provare ad abbandonare le logiche della spartizione e guardare alle priorità e ai problemi con la ferma determinazione di volerle affrontare e risolvere. Certo, non si può avere l’ingenuità di non considerare che tutte le crisi politiche, e a maggior ragione questa, sono influenzate da un calcolo di costi e benefici che ogni passaggio impone, ai singoli e ai partiti. C’è però un dato che dovrebbe trovare maggiore considerazione. Questa volta la posta in gioco, per tutti, è talmente alta che andrebbe spostato almeno alla fine di questa legislatura il momento del saldo fra quanto si potrà dare e quanto si potrà ricevere.

 

Il governo che può nascere in queste ore potrà essere quello che inizia a far rialzare la testa al Paese. Oppure, potrà essere quello che lo porta definitivamente incontro a un declino irreversibile. Una grande responsabilità ma anche una grande opportunità. Per questo serve anche una profonda discontinuità: prima nella definizione dei contenuti e nella scelta delle persone e poi nella capacità di governare.

 

 

 

 

 

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