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La ripartenza delle aziende nel 2021 e l’opportunità M&A

imprese familiari family business coronavirus

Per l‘Italia, penalizzata dalla dipendenza dai flussi di commercio internazionale e dall’ammontare elevato di debito pubblico, è prevedibile una modesta ripresa del PIL per il 2021. Le incertezze relative al Recovery Plan potrebbero farla scendere fino al +3%, secondo alcune stime. Secondo un report della società di consulenza EY, che per il Pil stima una ripresa tra il 5 e il 5,5%, la ripartenza, per molte aziende, potrebbe passare dall’attività di M&A, che dopo l’impatto della prima ondata del Coronavirus ha cominciato a riprendersi nella seconda metà del 2020.

Molti gruppi infatti guarderebbero con interesse alle acquisizioni come strumento per ridefinire il proprio business model, anche in termini di strategia digitale, capacità produttiva e supply chain.

Il trend di crisi del 2020, secondo EY, ha determinato una relativa scarsità di asset in vendita sul mercato, poiché le società di molti settori restano in attesa di osservare risultati in crescita nel 2021, rispetto all’anno passato. Ora però, le esigenze di ricapitalizzazione e finanziamento offrono opportunità per i fondi di Private Equity (fondamentali quando si parla di acquisizioni), anche tramite soluzioni di investimento più complesse rispetto al passato (minoranze e interventi con strumenti di debito e semi-equity, dice la società di consulenza).

Per EY uno dei principali driver dell’attività M&A attesa nel 2021 sarà l’ampia liquidità disponibile nel sistema; continua infatti a essere positiva l’attività di raccolta dei fondi e il relativo dry powder (cioè l’ammontare raccolto e non ancora investito). Oltre che a livello globale, si è assistito a un crescente accantonamento di liquidità anche in Italia, da parte delle famiglie e delle imprese, per effetto del clima di incertezza, della scarsa fiducia nelle prospettive di ripresa e delle misure di confinamento, che hanno ridotto le occasioni di consumo. Creare le condizioni per rimettere in circolo tale liquidità è essenziale per la ripresa di consumi e investimenti. Un fattore per l’attività M&A saranno anche gli aiuti europei, che potrebbero favorire acquisizioni nei settori in crescita.

 

Per Marco Daviddi, Mediterranean Leader dell’area Strategy and transactions di EY, “nonostante l’outlook moderatamente positivo per l’attività M&A in Italia, nel 2021 il mercato sarà caratterizzato da spinte contrapposte, tra acquirenti e venditori, con molti punti interrogativi sulla solidità della pipeline di nuove operazioni. L’effetto combinato di riduzione di ricavi e di crescente indebitamento pone in maniera forte il tema della solidità patrimoniale delle imprese, già caratterizzate storicamente nel nostro Paese, da dimensione contenuta e limitata disponibilità di capitale. Tutto questo in un contesto che, però, rende ancora più urgenti interventi di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale, specie per quanto riguarda canali di vendita, supply chain e processi di re-skilling del personale. I fondi potranno avere un ruolo determinante se saranno in grado di strutturare operazioni più complesse rispetto al passato e ci aspettiamo anche una sensibile ripresa della raccolta di capitali sui mercati regolamentati”.

 

EY

 

Nella prima metà del 2020, per effetto del primo lockdown imposto in Italia e nelle principali economie avanzate da marzo a maggio a causa del propagarsi del Coronavirus, l’attività M&A ha subìto una battuta d’arresto, registrando il valore aggregato delle acquisizioni più basso dalla crisi finanziaria del 2008 (circa € 16,6 miliardi per 219 deal). A partire da luglio c’è stata una ripresa e il totale investito nel nostro Paese nel corso del 2020 considerando, da un lato, investimenti nelle aziende (M&A) e investimenti istituzionali nel settore immobiliare (Commercial Real Estate) è stimato da EY in circa 48 mld di euro, in linea con il 2019.

 

Dal punto di vista M&A, il volume investito in Italia è da EY stimato in € 39 miliardi, in lieve crescita (+6%) rispetto al 2019. Il dato è stato trainato da alcune rilevanti operazioni di controvalore superiore a € 1 miliardo, specie nel settore finanziario. Epurando il dato da tali operazioni, quindi concentrando l’attenzione sui deal nel cosiddetto Mid Market, il dato è certamente meno positivo, con una riduzione dell’ammontare transato nel 2020 di circa il -24,8% anno su anno. Per quanto riguarda le transazioni relative ad asset di Commercial Real Estate, la riduzione di investimento è stata di circa il 25%, rispetto comunque ad un anno, il 2019, che aveva toccato cifre record nel nostro Paese. Il dato degli investimenti nel 2020 si allinea alla media storica registrata tra il 2015 e il 2018.

 

 

Il calo del 2020 è stato fisiologico: le società italiane operanti nei vari settori, assorbite dall’emergenza sanitaria, si sono inizialmente concentrate sul monitoraggio della liquidità, sulla gestione dei rapporti di fornitura e delle procedure di working from home, posticipando i piani di M&A. I fondi di Private Equity, focalizzati sul garantire un’adeguata liquidità alle portfolio companies per renderle più resilienti nel periodo di transizione, hanno rimandato i piani di acquisizione e interrotto le negoziazioni e i processi di cessione in corso a febbraio 2020. Tuttavia, da luglio in poi, si è assistito a una ripresa significativa dell’attività transazionale, incluse operazioni di grandi dimensioni eccedenti il valore di € 1 miliardo. Nella seconda metà del 2020 si sono registrate ben 300 transazioni con target italiane, per un valore aggregato di circa € 22,4 miliardi.

 

Il settore dei servizi finanziari è risultato il più performante per valore aggregato di acquisizioni (€ 13,7 miliardi), trainato dalla fusione di UBI Banca in Intesa Sanpaolo, che diventa quindi il settimo gruppo bancario dell’Eurozona per fatturato e il terzo per capitalizzazione di Borsa.

 

Il Private Equity si conferma un attore fondamentale per l’M&A in Italia, avendo realizzato circa il 35% delle transazioni avvenute nell’anno. Durante l’anno i fondi di Private Equity e i fondi infrastrutturali, soprattutto esteri, hanno concluso circa 117 operazioni di buy-out su target italiane per un valore aggregato di € 10 miliardi. Il valore, nonostante l’impatto del Covid-19, si conferma in linea con la media del periodo 2015-2019.

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