Draghi ha scelto una strada tortuosa, forse obbligata, ma comunque tortuosa. I 15 ministeri politici, distribuiti con una grande attenzione all’equilibrio parlamentare tra le forze politiche, sono un rischio. Possono rappresentare un freno per il suo governo, se dovesse prevalere la litigiosità di una maggioranza troppo larga. Oppure, al contrario, possono diventare un’assicurazione, se la presenza di peso dei partiti dovesse alla fine garantire stabilità.
Molte delle aspettative sono riposte nel contributo della componente tecnica, soprattutto nella politica economica e nella gestione delle risorse del Recovery Fund. Daniele Franco al Tesoro, Enrico Giovannini alle Infrastrutture, Vittorio Colao all’Innovazione tecnologica, Roberto Cingolani alla transizione ecologica. Ma anche Cristina Messa all’Universita’ e Patrizio Bianchi all’Istruzione, per l’investimento essenziale sulla formazione.
Significativa anche la scelta di condividere con la politica, con Giancarlo Giorgetti allo Sviluppo economico e Andrea Orlando al Lavoro, la gestione delle conseguenze più pesanti della crisi economica legata alla pandemia.
L’ex presidente della Bce, evidentemente consigliato dal Capo dello Stato Sergio Mattarella, ha ritenuto indispensabile creare le condizioni per assicurare al suo governo un solido ancoraggio parlamentare.
A fare la differenza dovrà essere però soprattutto la leadership indiscussa del premier. Draghi, nonostante le difficoltà e le contraddizioni, può fare di un governo che nasce dalla crisi profonda di una classe dirigente, e da un compromesso difficile da costruire, il protagonista del rilancio del Paese. Lo dice la sua storia e per questo è stato scelto come l’ultima risorsa disponibile.
