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Consiglio di Stato, legittimi i rimborsi a componenti Cnf

Consiglio di Stato Cnf Andrea Mascherin presidente Consiglio nazionale forense

I rimborsi previsti per i vertici del Consiglio nazionale e forense (Cnf), l’equivalente degli ordini professionali per gli avvocati, sono legittimi e non contrastano con gli interessi degli iscritti. Lo hanno stabilito due diverse sentenze del Consiglio di Stato, depositate alla fine di gennaio, che hanno rigettato i ricorsi contro il nuovo sistema di compensazioni in vigore dal 2016 presentati da due gruppi di avvocati di Bari e Bergamo, sia in proprio, sia attraverso le associazioni provinciali.

I professionisti si erano ribellati contro il regolamento adottato dal Consiglio Nazionale Forense l’11 dicembre 2015, che stabilisce le compensazioni (gettone di presenza forfettario annuale e rimborsi spese) per il lavoro svolto dagli organismi di vertice: presidente, vice, segretario generale, tesoriere e consiglieri nazionali. Il provvedimento era stato fatto approvare dalla vecchia consiliatura, presieduta da Andrea Mascherin, la cui riconferma è stata sospesa a marzo dello scorso anno dal tribunale di Roma, che poi, a settembre, ha dichiarato l’ineleggibilità sua e di altri otto consiglieri in quanto avevano già alle spalle due mandati (il vincolo del doppio mandato non lo consente). Ma anche il nuovo Consiglio, che in attesa dell’esito dei ricorsi sulle nomine continua a lavorare a ranghi ridotti, si è schierato contro le contestazioni dei professionisti lombardi e pugliesi.

I legali avevano chiesto la cancellazione del regolamento che ha introdotto “un gettone di presenza forfettario annuale, oltre al rimborso spese, pari ad euro 90.000 per il Presidente, ad euro 50.000 per il Vicepresidente, ad euro 70.000 per il Consigliere segretario e ad euro 50.000 per il Tesoriere, oltre accessori di legge; nonché un gettone di presenza per la partecipazione a ogni seduta amministrativa o udienza giurisdizionale del Consiglio pari ad euro 650, con un limite di 16 sedute o di 22 udienze all’anno”.

A detta dei ricorrenti il nuovo sistema avrebbe sottratto risorse all’attività del Consiglio, soprattutto formazione, e comportato maggiori esborsi per i professionisti “dal momento che le maggiori spese che l’ente dovrà sostenere per il nuovo regime indennitario – quantificate nel bilancio previsionale 2016 in euro 2.200.000,00 (1.200.000,00 euro in più rispetto al consuntivo 2015) – saranno finanziate esclusivamente con il contributo degli stessi”.

Il Consiglio di Stato non ha accolto le lamentele degli avvocati di Bari e Bergamo sostenendo che per la rappresentanza in proprio i ricorrenti non avevano titolo ad occuparsi della vicenda. Gli iscritti, hanno ribadito i magistrati di appello nella sentenza, possono avvalersi semmai di altri strumenti per esercitare il proprio controllo: “sul piano politico-sindacale, con l’esercizio del diritto di voto ovvero attraverso l’attivazione degli strumenti di contestazione previsti dall’ordinamento in materia di gestione amministrativa e contabile degli enti pubblici, ovvero ancora sollecitando l’esercizio dei poteri di vigilanza che competono al ministro della Giustizia”.

Mentre le associazioni di Bergamo e Bari, nel caso, pur essendo legittimate ad agire in giudizio, non l’hanno fatto con le ragioni opportune. Perché per i giudici del Consiglio di Stato il Cnf può esercitare da solo il proprio potere di autorganizzazione, non è assoggettabile alle norme della spending review se non in via generale e l’approvazione del regolamento non è avvenuta in conflitto di interesse, come lamentato dai ricorrenti.

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