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Sace, la Mappa dei rischi 2021 e il ruolo della sostenibilità

sace rischi mappa

“Poniamo l’esempio che io sia un imprenditore che deve esportare in un mercato abbastanza complicato: devo sapere quali sono le pratiche di pagamento in quel Paese, se c’è bisogno di stipulare un’assicurazione per essere sicuro di essere pagato. Devo sapere se ci sono rischi politici, che magari possono bloccare i trasferimenti da parte delle banche locali. E, sempre più spesso, voglio anche sapere se la controparte possa risentire degli effetti del cambiamento climatico”. Anche per questo, spiega Alessandro Terzulli, capo economista di Sace, quest’anno per la prima volta la Mappa dei rischi della società assicurativo-finanziaria italiana specializzata nel sostegno alle imprese italiane esportatrici include degli indicatori di sostenibilità (cambiamento climatico, benessere sociale, transizione energetica), che diventano così parte integrante delle strategie di competitività aziendale che le imprese italiane devono tenere in considerazione per la ripresa delle attività internazionali frenate dalla pandemia.

Non è un caso che la quindicesima edizione della mappa (anche interattiva online) sia tinta di “Rosso, giallo e green”, ovvero “i colori dei rischi e della ripresa sostenibile per l’export italiano”, come l’ha presentata Sace: la mappa, infatti, delinea i profili di rischio per le imprese che esportano e operano in circa 200 mercati esteri. Uno strumento che a partire da quest’edizione si avvale di un set aggiornato di indicatori che valutano, insieme ai tradizionali fattori di rischio di credito e rischio politico, anche aspetti di sostenibilità ormai imprescindibili, definiti in collaborazione con la Fondazione Enel. Questi aspetti sono determinanti per capire dove le imprese possano cogliere delle opportunità per ripartire, anche nelle Regioni più instabili: competitività e sostenibilità, spiega Sace, sono due facce della stessa medaglia.

 

L’andamento a ‘v’

In generale, a un anno dall’inizio della pandemia che ha portato a una recessione globale senza precedenti, secondo l’analisi di Sace l’incertezza economica permane e il quadro complessivo dei rischi è decisamente più elevato ed eterogeneo: non è un caso l’aumento delle aree rosse sulla mappa. Ma il 2021 sarà anche un anno di transizione verso la ripresa, grazie ai progressi nel contrasto al virus e nonostante i rischi di nuove ondate.

Ancora una volta si parla di un andamento a ‘v’, per l’economia mondiale, con un inizio piuttosto timido. “Ma a partire da aprile ci sarà un’accelerazione”, dice Terzulli. La ripresa a ‘v’, poi, avrà intensità diverse in zone diverse. Secondo Oxford Economics, l’attività economica globale è attesa in ripresa del 5% nel 2021, secondo l’OCSE del 4,2%, e secondo il FMI del 5,5%. Ma il rimbalzo stimato quest’anno per le economie avanzate non sarà tale da recuperare la contrazione del 2020. Per contro, i Paesi emergenti registreranno una dinamica più pronunciata grazie sia a una maggiore efficienza nel contenere la crisi sanitaria in importanti economie come quelle del Sud-est asiatico, ad esempio Corea del Sud e Vietnam, sia al forte traino della Cina.

Il 2020, per le imprese italiane, non è stato un anno di immobilità. “Quello appena trascorso è stato un anno che ha portato con sé uno shock straordinario, ma che ha anche avuto l’effetto di focalizzare l’attenzione sulla necessità di investimenti ad ampio respiro, cruciali per un vero rilancio del Paese”, ha detto l’Amministratore Delegato di Sace Pierfrancesco Latini, intervenendo all’evento di presentazione della Risk Map. Nonostante la pandemia, Sace non è stata distolta dal suo ruolo tradizionale “a supporto dell’export e dell’internazionalizzazione. In quest’ambito – ha sottolineato Latini – abbiamo mobilitato risorse per circa 25 miliardi di euro nel 2020 ai quali si aggiungono i 22 miliardi circa di finanziamenti garantiti ad oggi attraverso lo strumento di Garanzia Italia. Abbiamo raggiunto, così, il risultato, direi eccezionale, di oltre 47 miliardi di euro mobilitati a supporto delle imprese”.

Nel frattempo, nonostante le imprese siano pronte a ripartire, non vanno dimenticate le conseguenze della crisi, ancora ben presenti in ogni angolo del mondo. La pandemia ha contribuito a un ulteriore incremento del debito mondiale, sia pubblico che privato, nel 2020: un aumento di 24 mila miliardi che ha portato il debito complessivo a raggiungere quota 281 mila miliardi, pari al 355% del Pil globale e in netto aumento rispetto al 320% raggiunto nel 2019 (dati IIF). Il Fondo Monetario Internazionale ha sostenuto le esigenze finanziarie delle economie in difficoltà con linee di credito ed estensione di programmi ad hoc fornendo liquidità per 32,3 miliardi di dollari in 83 Paesi, di cui circa 16,7 miliardi verso l’Africa Subsahariana, circa 5,4 miliardi verso l’America Latina e circa 3,9 miliardi verso il Medio Oriente e il Nord Africa. Anche i Paesi membri del G20 si sono mossi con l’iniziativa di sospensione del servizio sul debito per concedere alle economie più fragili alle conseguenze dello shock un riscadenzamento del debito a parità di valore.

 

I rischi

I colori più accesi della Mappa 2021 di Sace testimoniano l’aggravarsi del quadro dei rischi. L’aumento più pronunciato riguarda i rischi di credito, ovvero il rischio che la controparte estera (sovrana, bancaria o corporate) non sia in grado o non sia disposta a onorare le obbligazioni derivanti da un contratto commerciale o finanziario. Dei 194 Paesi analizzati dalla mappa (a ciascun Paese, per ciascun indicatore, è associato un punteggio da 0 a 100), 120 sono quelli in cui il rischio sul credito è in peggioramento; questo deterioramento è riscontrabile soprattutto nella componente sovrana per effetto del forte incremento dei livelli di debito pubblico. Questi ultimi riguardano buona parte dei Paesi dell’Africa Subsahariana e di quelli dell’area nord africana e mediorientale. Gli score delle principali geografie avanzate, intanto peggiorano, ma non eccessivamente, pur mantenendosi sempre su valori contenuti.

Anche gli indicatori di rischio politico – che comprendono i rischi di guerra, disordini civili e violenza politica, i rischi di esproprio e di violazioni contrattuali e i rischi di restrizioni al trasferimento e alla convertibilità valutari – hanno segnato un leggero aumento nel 2020, più spiccato nei mercati emergenti e in via di sviluppo. Dei 194 Paesi analizzati, 48 migliorano, 60 sono stabili e 86 in peggioramento. I rischi politici aumentano principalmente a causa dell’inasprimento della violenza politica. Anche le economie avanzate, dal Regno Unito agli Stati Uniti, hanno segnato un aumento delle tensioni politico-sociali, sebbene in un contesto di rischiosità complessivamente più basso rispetto alle altre aree geografiche.

L’Europa può anche vantare punteggi particolarmente positivi se si parla di sostenibilità. Il nuovo set di indicatori, elaborato in collaborazione con Fondazione Enel, comprende un indicatore di rischio di cambiamento climatico che monitora i principali rischi climatici (come alte temperature, fragilità idrogeologica e vento) e i relativi impatti socio-ambientali, a cui si aggiungono due campi di analisi: il primo di benessere sociale, approfondisce la demografia, l’uguaglianza, il livello di salute, l’istruzione e il lavoro, evolvendo l’approccio del Benessere Equo Sostenibile (BES) utilizzato da Istat; il secondo, di transizione energetica, misura lo stato di avanzamento e gli effetti geopolitici della riconversione verso un nuovo mix energetico, quale fattore di resilienza, in un contesto caratterizzato dal crollo del prezzo del petrolio e dall’ascesa delle risorse rinnovabili e delle reti elettriche.

Sotto questo profilo, spicca il posizionamento dell’Europa, ma anche dell’America Latina, con una forte presenza di generazione rinnovabile in paesi come il Cile, il Perù e il Brasile, primo classificato tra i membri del G20 e con i migliori risultati sulle rinnovabili. In Africa Subsahariana buono il posizionamento del Kenya. Sul fronte dell’efficienza energetica, i Paesi industrializzati occidentali vantano sicuramente il miglior posizionamento, con la Germania appena fuori dal gruppo dei 10 migliori, seguita da Paesi Bassi, Regno Unito e Giappone. India e Cina sono, tra i maggiori Paesi, quelli meno performanti in termini di efficienza, accompagnati dai Paesi dell’Africa Subsahariana. I Paesi europei e Paesi asiatici quali Giappone, Corea del Sud, Cina e Vietnam dominano il ranking di elettrificazione dei consumi. Mal posizionata l’America Latina, con l’eccezione del Cile, e soprattutto l’Africa Subsahariana, a esclusione del Sudafrica e di piccoli Paesi insulari come Seychelles e Mauritius.

Secondo Sace, cogliere la spinta green è fondamentale: su resilienza, innovazione e sostenibilità “si giocherà la sfida della ripresa per rilanciare la competitività dell’Italia e delle nostre aziende”, dice l’Ad Latini. “Non ci sarà un vero rilancio senza un’economia pulita e circolare, senza una mobilità sostenibile, senza una profonda integrazione dei cicli industriali con tecnologie a basse emissioni”.

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