Nel 2050 nel mare nuoteranno più pezzi di plastica che pesci. Ma se si trattasse di “pezzi di SPlastica”, assicura Emanuela Gatto, Ceo della startup che trasforma scarti alimentari e organici in materiali innovativi, non ci sarebbe da preoccuparsi. “SPlastica è uno spin-off dell’Università degli studi di Roma Tor Vergata che realizza granuli di bioplastica 100% base bio e 100% compostabili”, spiega Gatto. “Biodegradabile vuol dire che il materiale è in grado di essere trasformato dai microrganismi nell’ambiente in molecole più semplici, come CO2 e acqua. Compostabile che può essere utilizzato per concimare i terreni”. La SPlastica, dal punto di vista chimico, ha le stesse caratteristiche della carta. Del team fanno parte Raffaella Lettieri, ricercatrice, e Graziano Massaro, commercialista.
“Creiamo materiali in grado di avere le stesse prestazioni della plastica inquinante. Prima della pandemia avevamo cominciato a tenere corsi per sensibilizzare i ragazzi delle scuole sul problema della plastica”, racconta Gatto. “Ci siamo presto resi conto che se c’era bisogno di parlarne, c’era bisogno anche di provare a risolverlo, questo problema”.
Nel 2022 sono state prodotte 390,7 milioni di tonnellate di plastica e di questi, la bioplastica rappresenta l’1,5% della produzione. “Noi abbiamo cercato di rispondere a due emergenze: da un lato, quella dell’inquinamento. Dall’altro, quella degli sprechi alimentari”, dice la Ceo. Il primo scarto che SPlastica ha deciso di ‘valorizzare’, sfruttando i princìpi dell’economia circolare, è il latte. In Italia vengono prodotti 12 milioni di tonnellate di latte all’anno. Di queste il 3% rimane invenduto. “La nostra capacità produttiva, utilizzando solo la metà del latte di scarto italiano, è pari a circa 12.000 tonnellate di bioplastica. Considerando che nel 2022 la somma di tutte le bioplastiche biodegradabili è stata di 300.000 tonnellate, saremmo in grado di produrre, utilizzando la metà dello scarto europeo, con il nostro materiale SP-Milk, più della metà di questo valore”, fa notare Gatto.
SPlastica è ancora lontana dai milioni di tonnellate di plastica di origine fossile prodotta annualmente. E anche dal mercato. “Manca un vero impianto produttivo e il processo di trasferimento tecnologico non è così immediato. Possiamo ricreare tutti gli oggetti. Rispetto all’inizio la capacità produttiva è aumentata”. Ma in attesa di ampliare il laboratorio, SPlastica continua ad accogliere studenti dell’Università che con le loro idee contribuiscono all’avanzamento di un progetto che ha già il sapore di futuro. “La sostenibilità è giovane”, scherza Gatto. Ed è fatta di SPlastica.