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Le dimissioni di Zingaretti, qualche domanda

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Le dimissioni del segretario del Pd Nicola Zingaretti sono evidentemente un fatto politico sostanziale. Lo sono ancora di più in un momento come questo, con la pandemia che sta tornando rapidamente a degenerare in un nuovo picco di emergenza sanitaria e con il governo guidato da Mario Draghi che sta prendendo le prime rilevanti decisioni, sia sul fronte della corsa al vaccino sia su quello della tenuta economica e sociale, con il Recovery Plan.

A colpire sono le parole che ha scelto il leader Dem per il suo annuncio. “Lo stillicidio non finisce. Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni”.

Sono parole, quelle di Zingaretti, che legano la dialettica interna al partito con le urgenze del Paese e con i piani del governo Draghi. E la scelta di usare un’espressione forte, “mi vergogno”, è mirata evidentemente a sottolineare quella che si ritiene una inopportuna e irresponsabile deriva. Ma ci sono alcune domande che è legittimo porre: discutere la linea politica di un partito, anche con argomenti fortemente polemici nei confronti del segretario, è incompatibile con la difficoltà e l’urgenza del tempo che si vive? E, ancora, non rientra nei compiti del segretario di un partito assumere la responsabilità di gestire senza strappi la dialettica interna al proprio partito?

In un altro passaggio, Zingaretti tenta di spiegare la ragione che lo ha spinto alla decisione. “Visto che il bersaglio sono io, per amore dell’Italia e del partito, non mi resta che fare l’ennesimo atto per sbloccare la situazione. Ora tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità. Nelle prossime ore scriverò alla Presidente del partito per dimettermi formalmente. L’Assemblea Nazionale farà le scelte più opportune e utili”.

Rispetto a queste altre parole, altre domande. Le dimissioni servono a trovare una legittimazione più ampia e condivisa durante la prossima Assemblea nazionale? O, come alcuni insinuano pensando alla corsa al Campidoglio, a liberarsi per nuove avventure? In un caso o nell’altro, annunciare con un post su Facebook la decisione di fare un passo indietro è il modo migliore per esprimere la propria leadership?

Le risposte a queste domande arriveranno nelle prossime ore e nei prossimi giorni.

Intanto, guardando nella maggioranza larga e fisiologicamente litigiosa che sostiene il governo Draghi, alla crisi perenne nei Cinquestelle, ai dubbi sulla convivenza con Lega e Forza Italia, si aggiunge la bagarre interna al Pd. Con un quadro politico sempre più complicato.

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