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Welfare aziendale, un nuovo ruolo per i provider?

welfare terzo settore

People first? “Credo che sia vera e sincera l’affermazione che vuole porre al centro delle aziende la risorsa umana. E a dire il vero io non ho notizia di tagli ai budget di welfare aziendale; ma è altrettanto vero che in questo anno il primo obiettivo è salvare la pelle”. Sintetico ed esplicito Alberto Perfumo, fondatore e ceo di Eudaimon, uno dei primi (per anzianità e fatturato) provider del welfare aziendale.

È pur vero che il mancato taglio ai budget di welfare spesso coincide con l’emissione di buoni spesa. Questo diventa un dilemma per chi come voi si propone come consulente, non solo come emittente di fringe benefit.

Dipende da quanta consapevolezza c’è del valore del piano di welfare in azienda. È solo uno strumento di integrazione salariale? Io non credo. Ma sono certo che sia il momento di raccogliere e lanciare una sfida nuova per chi fa il mio lavoro.

Di che sfida parla?

Dobbiamo conquistare la fiducia dei nostri utenti. E non parlo delle aziende clienti. Parlo proprio degli utenti, cioè dei lavoratori che utilizzano le nostre piattaforme per scegliere i fringe benefit, per spendere il loro portafogli di welfare. Dobbiamo essere percepiti come soggetti capaci di offrire valore nei benefit che proponiamo.

Ma questo è un problema dell’azienda vostro cliente?

Fino a ieri. Oggi credo che dobbiamo lanciare proprio questa sfida. Da semplici fornitori dell’azienda a distributori di prodotti e servizi di qualità per i lavoratori. Non basta la personalizzazione delle nostre piattaforme, che si vestono dei colori dell’azienda. Dobbiamo puntare a essere riconoscibili in proprio.

È una rivoluzione copernicana. In qualche modo il provider aziendale, secondo la sua provocazione, diventa una marca, un elemento di qualità percepita. Una “private label” che si sottrae al brand dell’azienda che detiene il rapporto di lavoro con i suoi dipendenti?

Esattamente così. Fino ad ora ci siamo accontentati di offrire le nostre piattaforme, indicando al massimo “powered by Eudaimon”. Oggi dobbiamo prepararci a offrire prodotti e servizi Eudaimon ai lavoratori, per il tramite della loro azienda.

Una rivoluzione da proporre nel corso di un anno che, come ha detto lei all’inizio, sarà un anno difficile.

Sì, un periodo difficile. Magari con meno cerotti, rispetto al 2020, ma certamente con tanta incertezza. Dopo l’anno della paura, il 2021 sarà l’anno dell’inquietudine. Anche per questo, quando c’è la fragilità, lo stato d’animo di chi lavora può fare la differenza. Ecco l’importanza della “persona al centro”. Ecco l’importanza del welfare aziendale.

Per anni le aziende hanno investito molto per rendere i luoghi di lavoro più confortevoli. Poi si sono trovate all’improvviso con i dipendenti a casa. Bisogna ripensare anche a questo.

Paradossalmente credo che il luogo fisico dell’azienda è destinato a diventare ancora più importante. Certo, in questo periodo – e non sappiamo ancora quanto sarà lungo questo periodo – sembra tutto spostato sulla casa. Ma appena si instaurerà la nuova normalità ci sarà bisogno di nuova socialità. Magari si andrà in sede aziendale per pochi giorni alla settimana, ma ci si andrà. E ancora di più quell’esperienza dovrà essere più che soddisfacente, più accogliente.

L’altra faccia della sede aziendale e della casa è il territorio. Si legge sempre più spesso circa la necessità di integrare il welfare aziendale in welfare territoriale. È un processo che è in corso. Che cosa ne pensa?

Penso a una prospettiva ribaltata. Era normale immaginare, fino a ieri, che il territorio dovesse sfruttare al meglio l’opportunità offerta dall’insediamento di una realtà imprenditoriale. Quindi il welfare territoriale dipendeva dalla capacità di estendere il welfare aziendale sul territorio. Oggi credo che si debba cambiare lo sguardo. Il regista di welfare territoriale deve diventare l’operatore del territorio. Ci sono aziende che possono essere messe a valore per la comunità? Devo ingegnarmi per farlo. Le associazioni di categoria non hanno saputo fare questo ruolo. Possono farlo le Fondazioni? Me lo auguro. Non credo che l’azienda possa fare da regista, ma il punto da risolvere è proprio questo. Per ottimizzare sul territorio i servizi di welfare aziendale occorre avere un regista.

È il ruolo del Terzo settore?

“Vedo le risorse della cooperazione sociale o delle imprese sociali come preziose componenti per l’evoluzione del welfare aziendale. Ma ci tengo a ribadire il ruolo dei provider. Noi non siamo solo degli intermediari. Abbiamo competenza, sensibilità, professionalità da mettere a profitto per l’azienda e per tutti i suoi stakeholder. Il Terzo settore si propone sia come fornitore di servizi, sia talvolta come competitor per noi provider. La concorrenza fa sempre bene. Io preferisco guardare alle possibilità che nascono dall’integrazione dei ruoli. È dall’integrazione che nasce quell’innovazione dei servizi che fa il bene del lavoratore e quindi del cittadino.

 

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