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Recovery plan, i pezzi che mancano

Al nostro Recovery plan, che noi chiamiamo anche Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), mancano dei pezzi. Non che li abbia persi per strada, sono tessere lasciate vuote. Due in particolare, come spiega il nuovo rapporto dell’ASvis (l’Alleanza italiana per lo sviluppo sotenibile). La prima ha a che fare con l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e gli obiettivi che ne costituiscono il cardine su cui far muovere la società di domani. La seconda guarda all’Europa e alle direttrici, tenute insieme dalle necessarie politiche lungo cui muoversi nella riscrittura dei paragrafi di quel Piano: ecologia, economia e inclusione sociale, digitale; che oggi sappiamo di poter tradurre con ‘sviluppo sostenibile’.

La prima tessera mancante è la definizione degli effetti che le misure indicate nel Recovery plan potranno avere in futuro, e in particolare sulle prossime generazioni da cui, deve essere chiaro, riceviamo i soldi indebitandoci con un ‘pagherò’ facendo le scelte giuste per il futuro; del resto la cambiale, che ha un nome preciso, si chiama Next Generation EU. In sostanza manca il ‘cosa sarà’, che è il principio su cui si basa il monitoraggio, e poi il raggiungimento, degli obiettivi dell’Agenda sullo sviluppo sostenibile.

La seconda casella vuota è quella che oggi abbiamo imparato a chiamare ‘transizione’ e che proprio su questa idea di ‘passaggio’ si fonda. Cioè il ‘come’, se è vero che le leggi, in particolare quelle economiche come per esempio la prossima Legge di Bilancio, dovranno esssere coerenti ai principi di sostenibilità.

Tutte indicazioni ben chiare, e che trovano nel Green deal europeo targato Ursula von der Leyen la sua ragione fondante. Nonché la volontà di urgente cambiamento e ridefinizione delle priorità della società. Ancor di più oggi, che ci ritroviamo scoperti e fragile, alla luce delle piaghe inflitte dall’emergenza sanitaria Covid-19. Senza contare che si tratta di un elemento imprescindibile delle Linee guida della commissione Ue.

Due nodi che i ministri, forse più importanti almeno in termini di risorse da gestire, non smettono di evidenziare. La transizione è fatta da “istanze diverse”, ha detto il ministro Roberto Cingolani: bisogna ragionare non in verticale ma in orizzontale e avere la possibilità di portare avanti la semplificazione, perché “non è soltanto ecologica” o “digitale” ma la transizione è anche “burocratica”. Il ministro dell’Economia Franco vede nel Next Generation EU la possibilità di “accrescere il nostro potenziale di sviluppo”; ma lo vede soltanto se il Piano italiano si muove “lungo le direttrici indicate dalla commissione Ue: digitalizzazione, transizione ecologica, inclusione sociale”.

Un flusso unico che mai come oggi è pronto, con un obiettivo non troppo lontano e uno step intermedio per controllare che tutto vada nel verso giusto: al 2050, data in cui ci si è prefissi di raggiungere la neutralità climatica, e il 2030 come pit stop per ragionare sulla progressione delle azioni messe in campo.

Oggi, a tutto questo per l’Italia – che ha vestito con gli abiti nuovi della ‘transizione’ i ministeri, e ha creato un Comitato interministeriale ad hoc guidato dal premier Mario Draghi – si aggiunge un fatto politico: la nascita di ‘Facciamo Eco’, la componente costruita alla Camera da Rossella Muroni, Lorenzo Fioramonti e Alessandro Fusacchia, con la collaborazione della Federazione dei Verdi (che affiancheranno il nuovo nome nella dicitura). Dal Gruppo Misto, inizierà a portare nel silenzio del Parlamento italiano quel rumore verde che in Europa, dalla Francia alla Germania, già tutti ascoltano. Porterà soprattuto una novità, e cioè quella di essere un punto di riferimento per l’azione legislativa declinata secondo quel ‘flusso unico’ richiesto proprio dalla transizione; e che tiene insieme ecologia, economia e inclusione sociale, digitale, semplificazioni. Il lato verde di cui c’era davvero bisogno, perché i tre deputati hanno le idee chiare: servizio civile ambientale per coniuguare lavoro e formazione, riforma fiscale green iniziando dall’abbattimento graduale dei sussidi ambientalmente dannosi, nuovo approccio su scuola e ricerca. Ma anche lotta all’ambientalismo di facciata, quel greenwashing che le aziende sfruttano per ottenere benefici e che in politica proprio non dovrà esserci. L’ecologia taglia trasversalmente tutta la società, ed è per questo che Muroni, Fioramonti e Fusacchia promettono di incalzare il governo con le giuste proposte per contribuire a disegnare il quadro del futuro del Paese, quello che vedremo nei prossimi 30 anni.

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