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L’Antitrust rilancia il voto plurimo

Un suggerimento insperato e che difficilmente rimarrà inascoltato: introdurre anche in Italia il voto plurimo perché rafforza il peso degli azionisti di controllo. Questa la proposta contenuta nella relazione per la redazione del presidente Antitrust, Roberto Rustichelli, inviata al governo per consentire al presidente del consiglio Mario Draghi di mettere a punto la legge annuale sulla concorrenza.

Fra le tante idee per liberare le energie economiche nei settori delle concessioni, dell’energia, del commercio e degli appalti contenuti nelle oltre 100 pagine del parere, Rustichelli ha segnalato anche una proposta di revisione del diritto societario che, che non è una novità in assoluto ma che, a tempi alterni, riappare senza successo nel dibattito politico.

Le azioni a voto plurimo, si legge nel documento dell’Antitrust, “conferiscono al titolare un maggior numero di voti in sede assembleare, in deroga alla regola generale ‘una azione, un voto’ e costituiscono una particolare categoria di azioni che può essere creata ed emessa per scelta statutaria, a differenza delle azioni a voto maggiorato che non rappresentano una categoria di azioni ma una sorta di “premio” (fino a due voti per azione), riconosciuto dallo statuto, per ciascuna azione appartenuta al medesimo soggetto per un periodo continuativo non inferiore a ventiquattro mesi”.

La proposta di differenziare i soci in base alle azioni che detegono non è una novità come ricorda la stessa relazione. Dopo un lungo periodo di assoluto divieto, la diversificazione dei titoli azionari “è incominciata con l’approvazione della legge 11 agosto 2014 n. 116 che ha previsto la possibilità di emettere categorie speciali di azioni a voto plurimo, fino a tre voti per azione”. Ma solo per le società non quotate, mentre ha ribadito il divieto per le quotate.

L’anno scorso, ricorda Rustichelli nella lettera a Draghi, c’è stato un altro precente abortito: “Nella bozza del d.l. n. 34/2020 (cd. decreto Rilancio) era prevista l’estensione alle società quotate della possibilità di emettere azioni a voto plurimo. Tale proposta, tuttavia, è stata ritirata dal testo della riforma. Ciò posto, si ritiene che la questione meriti di essere riconsiderata”.

Per l’Antitrust i motivi a favore dell’introduzione in Italia delle azioni a voto plurimo risiedono nella necessità di non distinguerci dagli “altri ordinamenti (come quello inglese, olandese e statunitense) nei quali rappresentano uno strumento del tutto ordinario per differenziare le posizioni degli azionisti, cui sono dunque garantiti margini di autonomia negoziale ben maggiori di quelli consentiti dalla legge italiana” oltre alla necessità di fidelizzare vecchi e nuovi soci.

In Olanda, spiegano all’Antitrust, “è ammessa l’emissione di azioni dotate di valore nominale diverso e un certo grado di proporzionale gradazione nella distribuzione dei diritti di voto”. Per questo, secondo Rustichelli, “il limite posto dall’ordinamento nazionale alla libertà di organizzazione dell’attività economica crea altresì un differenziale competitivo tra le imprese aventi sede in Italia e quelle aventi sede in altri Paesi in cui tali limiti non sono previsti”.

Si manifesta, pertanto, l’esigenza di garantire “il level playing field per le imprese italiane e questo a dispetto delle voci contrarie alimentate dal disfavore con il quale da più parti si guarda allo strumento in questione dipende da fattori quali il fatto di prestarsi ad alterare quella proporzione tra potere e rischio che tipicamente viene garantita dalla regola “un’azione per ogni voto”.

Se il voto plurimo dovesse essere accolto nel Sistema italiano se ne avvantaggeranno molti gruppi che oggi per mantenere il controllo vanno avanti con patti parasociali che non sempre risultano utili allo scopo. Come dimostra la scalata di Intesa Sanpaolo a Ubi Banca. O i patemi che generava ogni rinnovo dei patti che regolavano i rapporti fra i soci in Mediobanca, che oggi ha solo un patto di consultazione fra alcuni azionisti, e Generali. Ma il tema riguarda anche il gruppo di Silvio Berlsuconi. Il leader di Forza Italia per difendersi dagli attacchi del imprenditore francese Vincent Bollorè ha tentato addirittura di emigrare in Olanda, per riequilibrare, a proprio vantaggio, i rapporti di forza all’interno di Mediaset. Ma al momento il progetto di riorganizzazione europeo del gruppo è stato stoppato dagli avvocati del gruppo francese, nei tribunali spagnoli. Ora, se il suggerimento di Rustichelli verrà fatto proprio dal governo, Berlusconi potrà fare in Italia quello che aveva progettato altrove.

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