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Digitale e transizione ecologica. Come si conciliano?

Se ‘internet’ (meglio sarebbe dire il web) fosse una Nazione sarebbe la quarta al mondo per emissioni di gas serra; i gas che, per capirci, inquinano l’aria e incrementano gli effetti dei cambiamenti climatici contribuendo al surriscaldamento del Pianeta. Davanti al ‘Paese digitale’ – spiega una recente ricerca di Global carbon project – sul podio dei Paesi che colpiscono di più lo stato ecologico della Terra, Cina, Stati Uniti e India. Ma la domanda è come si concilia con la transizione, che in nome proprio del clima e di internet, è stata cristallizzata nel nostro Paese in due ministeri ad hoc: quello della Transizione ecologica e quello della Transizione digitale. E che nel mondo sta sempre più assumendo il modello di un ‘flusso unico’ che, grazie alla nuova strada del ‘sustech’ (fusione di ‘sustainability’ e ‘technology’), tiene insieme snellimento delle procedure, velocità delle operazioni, e maggior efficacia delle attività. Del resto il ministro Vittorio Colao, nel suo programma, dall’interno dell’amministrazione statale intende cominciare.

Proprio adesso (con l’emergenza sanitaria da Covid-19, il lavoro da casa in smart working, e la Didattica a distanza) “la rete è sovraccarica di utenti – mette in evidenza Seeweb, uno dei principali data center in Italia – ogni giorno viene sfruttata per seguire lezioni a scuola o all’università, organizzare riunioni, streaming per vedere film e ascoltare musica”; a cui si aggiungono l’aumento delle e-mail, “l’uso massiccio dei social network” con un incremento di invio di foto, video e messaggi vocali”. Inoltre – rileva ancora Seeweb – “ogni singola pagina web, ogni sito, ha un impatto negativo sull’ambiente. Anche i dispositivi come pc, tablet o smartphone rilasciano piccoli grammi di CO2. Oggi esistono quasi 2 miliardi di siti web nel mondo, uno ogni tre persone. Un puzzle in un ruolo fondamentale è giocato dai data center, dove vi è grande dispendio di energia, soprattutto per il raffreddamento dei server: ogni anno i data center utilizzano infatti 7 Gigawattora”.

L’impronta ecologia del digitale è dunque pesante. E’ per questo che gli stessi strumenti che funzionano per esempio per trasporti e edilizia possono aiutare per tagliare impatto dell’inquinamento digitale: efficientamento energetico, ricorso a fonti rinnovabili, sostenibilità ambientale e progettualità diffusa, è il pacchetto che secondo Seeweb è necessario che già per conto suo alimenta le sue ‘fattorie’ elettroniche con energia elettrica esclusivamente proveniente da fonti rinnovabili e certificate, oltre a stare attenta a portare avanti una gestione dei rifiuti di processo e tecnologici a impatto zero.

Il ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale Vittorio Colao che, con la sua relazione in Consiglio dei ministri ha superato a destra Renato Brunetta, guida il processo; e almeno per il momento mette davanti a tutto la Pubblica amministrazione: è una priorità del piano Italia Digitale 2030. L’idea è quella di realizzare un cloud sicuro e flessibile per la Pa, sia a livello locale che centrale. La strategia punta a a fornire un’identità digitale per i principali servizi rivolti ai cittadini.

Due assi centrali per il programma, saranno la sanità e la scuola; il tutto garantendo standard elevati di qualità e di sicurezza sui dati e le informazioni trasmesse. E grazie alle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) la diffusione della banda ultra-larga su tutto il territorio e a tutte le famiglie non dovrà più essere soltanto una desiderata: la data di scadenza per giungere alla piena cittadinanza digitale è stata fissata al 2026.

Quel flusso unico del ‘sustech’ ha di fronte una partita fondamentale da giocare. E da vincere. Il web che – secondo la mappa messa a punto da Global carbon project – produce quasi 1,9 miliardi di tonnellate cubiche all’anno; ovvero 400 grammi a utente su internet. C’è un modo per andare oltre. Quello che ecologia e digitale possono fare insieme è puntare sull’innovazione. L’implementazione delle rinnovabili da cui abbeverarsi saranno necessarie: l’energia pulita è un obiettivo dell’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. La transizione è quindi soprattutto energetica. Per completare il passaggio oltre all’innovazione, serve cooperazione; per dirla più semplicemente collaborazione o modernamente condivisione.

La data della decarbonizzazione al 2050, cioè della neutralità climatica, non è lontana. Essendo una sfida globale, la condivisione e di conseguenza la replicabilità dei modelli a basso impatto ambientale sarà dirimente. L’economia e il mercato dovranno anche pensare a tutelarsi. Per esempio essendo molto duri sull’importazione di tecnologie ‘povere’ sul fronte ecologico, che non hanno un’integrazione elevata dello schema ‘circolare’ (che non spreca le risorse e anzi le razionalizza e le recupera per reimmetterle nel processo produttivo), ed evitare una concorrenza al ribasso. Uno dei protagonisti, tanto per dirne uno e uno soltanto, potrà essere l’idrogeno. Meglio se ‘verde’ (cioè fatto con le rinnovabili). E quel che intorno si riuscirà a far ruotare.

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