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Superlega, il no di Draghi e degli altri governi

Una nota ufficiale, per dire ‘No’ alla Superlega. Il premier Mario Draghi mette nero su bianco la contrarietà sua e del governo al progetto lanciato dai dodici club europei che hanno puntato sul campionato d’elite. “Il governo segue con attenzione il dibattito intorno al progetto della Superlega calcio e sostiene con determinazione le posizioni delle autorità calcistiche italiane ed europee per preservare le competizioni nazionali, i valori meritocratici e la funzione sociale dello sport”. Le parole scelte sono già sufficientemente nette.

Accanto alle parole, ci sono anche i contatti tra le cancellerie europee e le istitizioni del calcio. La decisione delle società fondatrici della Superlega ha un pesante impatto politico. Non solo perché il calcio muove miliardi di euro e non solo perché il calcio è lo sport più popolare e ha una evidente ricaduta sulla società. Lo strappo viene letto anche come un pericoloso precedente istitituzionale. La secessione di chi si sente in grado di spostare equilibri consolidati con la sola forza della ricchezza economica assume le caratteristiche del club privato che si costruisce autonomamente regole e spazio di manovra. Anche per questo, la reazione di queste ore è così ferma da parte di chi rappresenta le istituzioni: o dentro o fuori, la convivenza tra il calcio di tutti e il calcio ‘privato’ non è tollerabile.

Le parole di Draghi si aggiungono a quelle di Boris Johnson ed Emmanuel Macron. “Il progetto di una Super League europea sarà molto dannosa per il calcio e appoggiamo le autorità calcistiche che intraprendono misure. Colpirà al cuore il gioco e darà dispiacere ai tifosi di tutto il Paese. I club devono rispondere ai propri tifosi e alla più ampia comunità calcistica prima di compiere ulteriori passi”, ha commentato il premier britannico. Il presidente francese ha censurato il progetto affermando che “minaccia il principio europeo del merito sportivo”.

Se la partita sul piano della politica sportiva è appena iniziata, con uno scontro che si annuncia durissimo anche sul piano legale, è chiaro che si apre anche una dialettica forte tra i club ‘secessionisti’, in Italia Juventus, Milan e Inter, e i governi nazionali. Andare avanti in aperta contrapposizione con le istituzioni potrebbe rappresentare per le 12 fondatrici della Superlega anche un costo da considerare, non solo in termini di reputazione ma anche di ricadute economiche. Un’arma che potrebbe essere presa in considerazione tra i possibili strumenti di ‘ritorsione’ è anche quella fiscale: se è difficile pensare a penalizzazioni mirate, è facile ipotizzare che ogni agevolazione e ogni incentivo possa essere indirizzato esclusivamente verso chi resta nel calcio ‘ufficiale’.

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